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Di Marilea Ortuso
“Bisogna guardarsi dentro, riscoprire l’identità che è dentro di noi e domandarsi: chi sono? Che identità ho?”.
Con questo esordio il giornalista de “Il quotidiano”, Michele Albanese, giorno 30 Maggio, ha incontrato gli alunni delle classi quinte del Liceo “Pizi” di Palmi. L’evento, che rientra nel Protocollo d’Intesa Ordine dei Giornalisti e MIUR, è risultato interessante e trascinante per la passione con cui il relatore ha spinto i giovani in un’amara, seppur vera, riflessione sul presente, sul passato e su quello che diventerà il loro futuro. “Stiamo vivendo un processo di involuzione: presto conflitti e guerre ci attanaglieranno in un vortice da cui sarà difficile scappare e non significherà nulla più “spostarsi al Nord” per trovare lavoro o fare fortuna: la corruzione, la precarietà dell’esistenza umana, perfino qualche guerra in procinto di scoppiare non ci lasceranno scampo!”
I giovani studenti confluiti in Auditorium e prossimi alla maturità hanno seguito con attenzione e talvolta con evidente stupore le nette affermazioni di Albanese, esposte in una lunga relazione parenetica, esortante alla “rivoluzione”, cioè al cambiamento dei costumi, delle mode del momento che hanno innescato, nelle nuove generazioni, un viaggio di sola andata in cui tutta l’umanità vive omologata a sistemi già preconfezionati dall’alto. “Oggi, sembra impossibile pensare a progetti civili, sociali, scolastici con la libertà di immaginare il nuovo, il diverso. Se esci fuori dal gruppo o se non fai gruppo, sei tagliato fuori, specialmente se urli la verità in faccia ai sistemi precostituiti che, per giunta, ti vogliono omologare come delle macchine non pensanti. Anch’io sono stato attaccato per aver detto la verità, ma non mi pento di avere avuto il coraggio, e di dimostrarlo ancora oggi, di dire ciò che penso e che crea qualche fastidio alle Istituzioni, alla ‘ndrangheta, alla Massoneria occulta, a tutto ciò che rende malata una terra ricca di storia e di civiltà qual è la nostra Calabria, affossata da sistemi corrotti che ne hanno decretato la fine, al punto che voi, giovani ora maturandi, sarete costretti a scappare dal vostro suolo natìo per affrontare gli studi in altra sede”.
Parole sentite e pronunciate con trasporto emotivo, quelle di Michele Albanese, vibranti di amor patrio e di forte legame alla sua terra; passione per la dedizione alla verità che gli alunni presenti hanno percepito e hanno manifestamente dichiarato al giornalista: “Il dolore, le lacrime quasi che vibrano nelle sue parole mi fanno percepire la sofferenza di essere voluto rimanere qui, al Sud, per diventare motore trainante verso la verità che, purtroppo non sempre vince in questo mondo fatto di omologazione e sfruttamento. A chi dare la colpa? È difficile trovare una risposta. Alla vecchia generazione, che ci ha “costruito” questa realtà, o a noi stessi, ai giovani, perchè ci uniformiamo alle mode, perchè per interessi personali non lottiamo contro i sistemi?”
Queste le amare parole di Marco Costantino, alunno della VA del Liceo Classico che, intervenendo nel dibattito, ha colto nel vivo la verve del giornalista e il suo intervento in Istituto, avvertito come missione per scuotere le coscienze.
Ma partire, allontanarsi dalla nostra terra dal mite clima del Sud sembra un traguardo quasi obbligato. “Restare al Sud quando nessuno riceve il compenso dovuto per la professione che svolge, quando tanto si promette e nulla si fa per far decollare questo nostro Meridione che diventa argomento di discussione solo in tempi di campagna elettorale, che senso ha?” Affermazioni crude nella loro verità di Marta Frangella di VA Liceo Scientifico.
“Bisogna trovare il coraggio di restare per cambiare lo stato delle cose. Scappare, rifugiandosi nell’evoluto Nord, per inseguire il sogno di libertà e di indipendenza spesso non ripaga. La vera responsabilità è prendere coscienza che dappertutto bisognerà affrontare la vita a muso duro: non esiste qualcosa di pronto già per noi! Tutto è fatica. Tanto vale restare al Sud, per cambiare la nostra realtà, per lottare contro chi deturpa la natura, contro chi si omologa, si massifica, si globalizza, perdendo la propria identità”. Con queste parole, il D.S., Prof.ssa Maria Domenica Mallamaci ha incoraggiato i giovani maturandi a vedere positivo sul futuro, richiamandosi all’Art. 3 della Costituzione che prevede la tutela dell’identità di ciascuno come diritto dell’uomo.
Se il mondo va alla aderiva, bisognerà pur intervenire per frenarne il collasso e la speranza risiede nei giovani di oggi che saranno la nuova classe dirigente di domani ed in questo la scuola deve saper indirizzare verso la specificità di ogni unità umana che costituisce, poi, la catena sociale. Ogni individuo, in quanto facente parte di una società globale, deve farsi foriero della sua unicità, della sua forza, del suo coraggio nella lotta contro i sistemi deviati o devianti, per potersi poi definire, in piena coscienza “cittadino del mondo”, avendo reso un servigio di miglioramento sociale alla terra in cui abita ed opera.
“Vi faccio l’augurio che le mie parole, oggi, siano per voi da monito. Non scendete mai a compromessi, non rassegnatevi, non abbiate rimpianti! Vogliate bene alla Piana di Gioia Tauro, alla nostra bellissima terra e sappiate cogliere con maturità le mie provocazioni per pulire questa nostra terra dei miti dal mare inquinato, dalle montagne avvelenate, dai centri storici abbandonati, dalla negligenza di chi ci governa, aiutandomi a sperare che voi non siete generazioni spente, costruite col timbro della globalizzazione. Affrontate, quindi, le sfide della vita con le vostre teste pensanti, senza rendervi servi di nessuno”. Con queste frasi ad effetto, l’oratore Albanese ha arringato la folla di giovani “teste pensanti” del Pizi.
L’incontro formativo programmato si è concluso con la citazione di un proverbio messicano: Sulla mia testa ci sono i miei capelli, sui miei capelli c’è il sombrero, sul sombrero c’è solo il cielo libero e azzurro della mia libertà.
Non è il caso di far seguire alcun commento sulla gnome contenuta in questa massima proverbiale. È già fin troppo esplicito.
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