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di Domenico Logozzo
“Niente è semplice in un reparto di oncoematologia pediatrica se non ridere. Ridere è semplice sempre, me lo hanno insegnato loro”. Federica Tavernese, 21 anni, di Gioiosa Jonica (Reggio Calabria), al terzo anno di università a Catanzaro, studia infermieristica pediatrica e ci racconta la sua straordinaria esperienza con i bambini del reparto di oncoematologia, dove ha concluso qualche mese fa il tirocinio. E ci fa ritornare alla mente le parole di Papa Francesco sull’importanza dell’affetto a supporto della terapia medica con l’ “affettoterapia”.
Federica ricorda i mesi trascorsi a contatto con i piccoli ammalati di tumore e con le loro famiglie: “In quei bambini ad una lacrima si susseguiva un sorriso. Perché le battaglie vanno combattute e la paura non è mai stata una buona consigliera, e il sorriso e l’amore di una madre o un padre danno ancora più forza. Non è vero che un bambino non capisce, è così consapevole di tutto, ma continua a sorridere, giocare e crederci”. Con grande emozione e commozione racconta: “Guardandoli ogni volta mi sono chiesta: “Ma come ci riescono?” E ti dedicano quel tempo per farti dare una risposta a tutte le domande. Maria Grazia ti guarda con quegli occhi capaci di trasmetterti il mondo e ti regala un bracciale e nel mentre fa quel gesto, sai che ti sta donando un po’ di sé. Ed Emanuele, con il suo bel caratterino, ti fa ascoltare la sigla di Zorro, il suo nuovo super eroe preferito, che come lui combatte e sconfigge il nemico. Fantasia e realtà spesso non sono così distanti tra loro”.
Chiedo a Federica cosa l’ha spinta a fare questa scelta. “Quando ho deciso di intraprendere questa strada avevo appena compiuto 19 anni, questa era una facoltà col test di ingresso come tante altre a cui aspiravo. Quando seppi di essere stata ammessa accettai subito. Non esitai, non ebbi nessun dubbio. Mi buttai a capofitto in questa nuova esperienza, che mi entusiasmava e mi intimoriva allo stesso tempo. In fondo non si sa a cosa si va incontro fino a quando non ci si è dentro davvero. E così iniziai il tirocinio tra i reparti pediatrici fino a quello dell’oncoematologia pediatrica”. Un’esperienza importantissima. “Questo è stato il reparto dove tutte le emozioni sono entrate più volte in gioco simultaneamente. Ricordo che il mio professore un giorno disse: “Ragazzi, non portatevi mai a casa i problemi di un reparto, quando chiudete la porta dopo la fine di un turno, con questa chiudete tutto ciò che vi ha fatto stare male”. E ho capito cosa volesse dire il mio professore solo quando ho iniziato la mia esperienza nell’oncoematologia pediatrica. Tornare a casa e cercare di dimenticare quello che avevi visto pochi minuti prima era così difficile. Era impossibile, non si poteva dimenticare. E probabilmente nemmeno volevo farlo”.
Ricordi incancellabili. L’ “affettoterapia” e il coraggio delle mamme. “Tante volte non sono riuscita a trattenere le lacrime. Di fronte ad una mamma che cercava la forza nel prendersi cura di un figlio, così piccolo e già malato. Di fronte a un bimbo che il giorno prima correva in un parco, si dondolava sull’altalena, tirava calci ad un pallone e il giorno dopo era costretto a un letto d’ospedale. E ciò che mi colpiva ancora era come da un pianto in una sala medici, i genitori tornassero dal proprio figlio, con un sorriso sulle labbra e gli occhi colmi di coraggio, nonostante tutto. Arricchiti da una nuova speranza. E da una immensa tenacia. Nessuna madre e nessun figlio avrebbero mai mollato o abbandonato la speranza e la fiducia”. La grande forza dei piccoli pazienti in lotta contro un terribile e crudele male. La battaglia per la vita. “Quei bambini, sottoposti a chemioterapia, farmaci pesanti, volevano giocare ancora. E cantavano sempre a squarciagola. E chi riusciva scendeva dal quel letto tutto bianco ed e si esibiva qualche passo di danza. Ci facevano sorridere, così simpatici. Erano forti, tutti. E’ da qualche mese che ho finito la mia esperienza in quel reparto, eppure ricordo ogni faccia, ogni voce e i loro sorrisi. Non ricordo i pianti e questo grazie a quei bimbi con quel coraggio, quella voglia di lottare e vincere”.
Federica quale messaggio vuoi lanciare ai giovani?
“Sono giovane anche io, non ho molta esperienza di vita ancora. Ma ho avuto l’onore di trascorre tante ore con bambini malati di tumore. Il tumore era quel mostro da distruggere. Ognuno di noi si porta dietro qualche mostro, ognuno ha i suoi mostri, distruggiamoli anche noi con coraggio, sorriso e con occhi che brillano di felicità”.
I tuoi progetti per il futuro?
“Per adesso penso di finire l’università e di imparare il più possibile. Dopo si vedrá. Il mio desiderio è quello di poter lavorare con i bambini, specialmente con quelli che hanno più bisogno di aiuto”.
Dalla parte di chi soffre. Altruismo. Grande umanità. E’ questa la Calabria dei Buoni e dei Giusti. Da incoraggiare. Con i positivi esempi. Federica è un’altra brillante ragazza che “mette in luce il volto bello e positivo della nostra terra, diversamente da quello che spesso ci si vuol far credere”, come ha scritto il vescovo mons. Francesco Oliva nella lettera pasquale agli studenti della Locride, complimentandosi con quanti hanno partecipato alla XXII Giornata della Memoria e dell’Impegno che si è svolta nel mese di marzo a Locri. No alla rassegnazione. Sì alla speranza. “Non lasciamoci imprigionare dalla tentazione di rimanere soli e sfiduciati a piangerci addosso – ha detto il Papa nella sua omelia a Carpi cinque anni dopo il terremoto -. C’è chi si lascia chiudere nella tristezza e chi si apre alla speranza. C’è chi resta intrappolato nelle macerie della vita e chi, come voi, con l’aiuto di Dio solleva le macerie e ricostruisce con paziente speranza”.
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