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La Città di Gerace ha ricordato il 168° anniversario della fucilazione dei Cinque Martiri che una Commissione militare borbonica, presieduta da Rossaroll, giudicò emettendo un verdetto spietato: pena di morte con terzo grado di pubblico esempio; cioè i condannati dovevano essere scalzi, genuflessi e bendati, mani legate e ceppi ai piedi.
Erano cinque intellettuali della Locride, tra i 22 ed i 28 anni, chi laureato in Giurisprudenza chi prossimo alla laurea. La storiografia ufficiale ancora inspiegabilmente li ignora. Vennero trucidati, in località “Largo Piana”, nella parte bassa di Gerace, città nella quale furono sommariamente processati, il pomeriggio del 2 ottobre 1847; un mese dopo i moti insurrezionali scoppiati a Bianco, nel Distretto di Gerace.
Michele Bello da Siderno, Pietro Mazzone da Roccella Jonica, Gaetano Ruffo da Bovalino, Domenico Salvadori da Bianco e Rocco Verduci da Caraffa del Bianco; questi i loro nomi.
Sulle note del silenzio, una corona d’alloro è stata deposta dall’Amministrazione Comunale davanti al monumento che sorge nel luogo in cui i cinque caddero, trucidati dai colpi esplosi da 40 moschetti borbonici. Il sindaco, Giuseppe Varacalli, ha rivolto il saluto alle autorità intervenute (rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri, del Corpo Forestale dello Stato e della Polizia Locale, il consigliere Giuseppe Cusato per la minoranza, rappresentanti del Club Unesco e dell’Associazione Nazionale Carabinieri) nonché alla delegazione di studenti.
Il primo cittadino ha sottolineato che è stata istituzionalizzata la “giornata” del 2 ottobre con la deposizione d’una corona d’alloro ed un incontro con le Scuole. Ha anche preannunciato che il Comune intende avviare un progetto (borsa di studio, concorso, altro) a livello nazionale perchè questa pagina di storia- che ancora presenta tanti punti oscuri- venga approfondita e gli storici diano nei loro testi lo spazio ch’essa merita.
Secondo Varacalli “questi cinque giovani hanno lasciato insegnamenti indelebili di fedeltà ai propri ideali; una fedeltà che può anche portare all’estremo sacrificio. Non vadano perciò disperse e vanificate, ha riferito, queste pagine di storia da cui tutti dovremmo attingere tanti insegnamenti; soprattutto in questo particolare periodo in cui pare che i principi ed i valori non vengano più tenuti in alcuna considerazione; anche dai nostri stessi rappresentanti politico-istituzionali”.
Varacalli ha quindi dato la parola allo storico Vincenzo Cataldo, dell’Università di Messina, il quale ha ricordato che a carico dei cinque giovani il principale capo d’accusa fu quello di avere fatto sventolare la bandiera tricolore su cui Rossarol sputò quando i cinque si alzarono in piedi per onorarla. Essi chiedevano a Re Ferdinando II la concessione della Costituzione, maggiori libertà, il dimezzamento del prezzo del sale e del tabacco e l’abolizione della privativa dell’acqua marina. I loro corpi, vennero “gettati” nella “fossa della Lupa” subito dopo l’esecuzione, ma non furono mai trovati. Ed ancora oggi questa è una delle tante pagine oscure di quel periodo da cui poi scaturirono i moti del 1848.
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