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La mostra di Francesca Borgia a Reggio Calabria, “Dipinti e ceramiche”, rappresenta una tappa interessante della ricerca artistica di questa pittrice che, per la prima volta, si cimenta con una materia e con tecniche nuove per lei, esponendo, insieme ai quadri, piccole opere in ceramica di grande impatto emotivo, che non solo si rivelano in coerente continuità con i temi e le forme della sua pittura, ma ne esaltano l’ispirazione.
Il mare dello stretto è il grande protagonista delle tele e del percorso artistico dell’autrice, il mare con le sue correnti, i suoi gorghi, i bagliori cangianti della superficie e il blu intenso delle profondità, il mare che avvolge la terra, la memoria e lo sguardo. “Io vedo” dice l’artista e riproduce nelle tele sia la festa dei sensi nell’atto di contemplare la bellezza di un luogo amato, che è diventato luogo dell’anima, sia la consapevolezza delle ferite inferte ai territori, alle vite, agli uomini che il mare lambisce e custodisce. In alcuni quadri una testa umana galleggia nelle trame del colore, raffigurazione del desiderio di immedesimarsi col mare, di portarlo dentro come elemento salvifico, e nello stesso tempo di un pensiero inquieto che cerca e vede oltre le forme apparenti, oltre la luminosità degli colori mediterranei. Lo sguardo dell’artista attraversa le cose e la Contemplazione si trasforma in Compassione, in partecipazione amara e ineludibile al patire del mondo che è sempre presente nel contrasto tra la solarità dei colori e l’inquietudine del segno, ma che diventa esplicita soprattutto in un dipinto/installazione: sulla tela una zattera vuota tra le onde, e a terra una serie di ceramiche bianche allineate che ricordano le forme appena abbozzate di corpi, come salme adagiate nel fondo. È la rappresentazione della tragedia dei migranti nel mare di Sicilia, metafora e simbolo degli “inciampi, le cadute, le risate e i pianti di infinite umanità”.
Proprio attraverso la ceramica Francesca Borgia trasforma infine la Compassione in Conversione, etimologicamente e religiosamente intesa come mutamento di direzione, rivolgimento del percorso dal male al bene, attraverso il recupero del legame profondo e sacro con la Natura. Una serie di piccoli busti supplicanti, dai tratti essenziali e sofferti, vengono così concepiti dall’Artista come degli ex voto, simboli di corpi feriti offerti alla speranza di guarire. Al posto degli organi malati l’inserimento di un frammento naturale, un coccio o un legno trovato sulla spiaggia, una rosa del deserto, un ramo secco, un elemento forgiato non dall’uomo ma dal vento, dall’acqua e dal tempo che diventa il cuore pulsante dell’opera artistica e la rende materia viva.
Un’ultima nota va al suggestivo spazio espositivo in cui è stata allestita la mostra: vi si accede dalla parete di fondo dello show room di Laruffa/Luppino, arredamenti e rivestimenti design dalle linee moderne ed eleganti, e, proprio per questo, è con sorpresa che improvvisamente ci si ritrova in un’antica cripta seicentesca sopravvissuta ai cambiamenti urbanistici sovrastanti; così, nella cornice di una splendida volta di archi in mattoni, i dipinti e i manufatti dell’Artista si connotano dell’aura dell’ambiente e si possono ammirare con l’emozione di chi ritrova, sul filo della memoria, testimonianze di vita, materiali e cose.
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