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di Ivano Verduci
ERA IL GIORNO 7 APRILE 1994
Jean Paul è un ragazzo africano che studia con profitto a Reggio Calabria. Porta con se il ricordo di una delle tante pagine tragiche del secolo passato.
Il secolo delle 2 guerre mondiali e dei tanti genocidi.
Ci viene subito alla mente la persecuzione degli ebrei, ma purtroppo, questa è un’altra storia e ci sconvolge ancor di più sapere che non abbiamo imparato abbastanza, perchè quello di cui andremo a parlare è storia quasi attuale.
Lui è originario del Ruanda, una nazione africana che ha conosciuto la parola GENOCIDIO.
Il Ruanda è un paese dell’Africa Centrale poco sotto L’EQUATORE, confina a Nord con l’Uganda, a Sud con il Burundi, a Ovest con la Repubblica Democratica del Congo e ad Est con la Tanzania. Il Paese, grande di 26.338 km², è conosciuto come il “Paese delle mille colline” per i numerosi rilievi che ne caratterizzano il territorio, abiato da 8 milioni circa di abitanti.
Era esattamente il 7 Aprile 1994 quando cominciò la mattanza.
Le radici del genocidio risalgono al tempo del colonialismo in Africa. Il motto dei colonizzatori “Divide et impera”,cioè “Dividere per meglio comandare”, ha avuto molto successo in Ruanda che poi ha portato al genocidio. In effetti prima del colonialismo i nomi Hutu, Tutsi e Twa esistevano in Ruanda ma con il senso di tutto diverso da quello che ha avuto dal colonialismo in poi. Mentre prima del colonialismo essere Hutu, Tutsi o Twa era un fatto di distinzione tra allevatori( Tutsi), coltivatori( Hutu) e cacciatori( Twa), dal colonialismo in poi la distinzione è diventata divisione. Quando la regione del Ruanda-Burundi fu esplorata e colonizzata dai tedeschi prima (dal 1895 al 1916) e dai belgi poi (dal 1916 al 1962) i rapporti tra i tre gruppi etnici cambiò. Con la colonizzazione tedesca e belga fu’ cosi’ introdotto in Ruanda il concetto di razza, che trova la sua massima espressione razziale nel 1933 quando i belgi inserirono l’etnia sui documenti ufficiali di identità. Da qui iniziano delle divisioni basate sulle etnie, nelle scuole, nel lavoro etc. Questo odio cresceva pian piano e nel 1959 i primi tutsi vengono ammazzati e lasciano in massa il paese.
Sta per avvenire quello che la Madonna di Kibeho aveva detto nel 1981 ” convertitevi e recitate il rosario perchè si vedrà molto sangue nelle strade del Ruanda”. E così avvenne. I ruandesi di etnia Tutsi, che erano stati cacciati dal paese, chiedevano sempre di tornare in Ruanda ma la risposta del governo era la famosa frase del “il Ruanda è pieno come un bicchiere di acqua”, e quindi non avrebbero avuto posto dove abitare. A un certo punto questi al confine con l’Uganda si armano e decidono di tornare nel 1990 iniziando la guerra contro il governo ruandese che non li voleva, fino a quanto il 6 Aprile 1994, accade l’irreparabile. Un attentato fa cadere l’aereo del presidente del Ruanda Juvenal Habyarimana. Erano quasi le ore 20.00 e da lì la radio nazionale e la televisione iniziano a dare degli avvisi terrorizzanti dicendo di non uscire di casa, che i tutsi avevano ammazzato il presidente e quindi i tutsi dovevano morire tutti. Così dal giorno 7 aprile inizia il genocidio.
Un fattore considerato importante per il genocidio è l’intenzione genocida, il desiderio di distruggere la popolazione vittima in quanto tale. Nel caso del Ruanda, si trattava proprio di questo cioè di distruggere tutte le persone dell’etnia Tutsi in quanto tale, ricco o povero, anziano o bambino, uomo o donna, sano o ammalato non aveva l’importanza, bastava essere dell’etnia Tutsi per essere ammazzato subito, e guai a uno dell’etnia Twa o Hutu che andava contro questo idea. Questo è il vero genocidio che ha sperimentato il Ruanda dal 07 aprile al 19 luglio 1994. Il caso più esplicito del genocidio in Ruanda è il marito dell’etnia Hutu che ammazzava la moglie dell’etnia Tutsi e lasciava i suoi figli perché nella cultura ruandese si prende l’etnia del padre e non della madre.
Durante il genocidio in Ruanda, i tutsi sono stati uccisi a colpi di machete e di armi da fuoco, altri sono stati bruciati vivi sia nelle loro case che all’aria aperta, altri sono stati sepolti vivi. Durante la giornata si andava alla caccia di Tutsi anche con i cani come chi caccia un animale selvatico. Chi veniva trovato faceva una vera e propria via crucis andando verso una fossa comune per essere gettato vivo. Molti testimoni dicono che alcuni pagavano affinchè venisserro ammazzati a colpi di pistola ed evitare di essere gettati vivi nelle fosse comuni. Tantissime donne e anche bambine furono violentate, moltissime presero delle malattie sessualmente trasmissibili. Le case, le chiese, i luoghi pubblici come le scuole e altri uffici, sono stati distrutti e bruciati per togliere ogni possibilità ai tutsi di potersi nascondere.
Sapere il motivo per cui i ruandesi sono riusciti oggi a vivere di nuovo insieme rimane un mistero come lo è anche il motivo più profondo per cui si sono ammazzati tra di loro. Spesso quando c’è l’odio sembra che l’amore non è mai esistito, ma per vedere questo amore bisogna guardare con gli occhi del cuore e non con gli occhi della testa. Spesso gli occhi della testa non riescono a distinguere il vero dal falso, anche perché alle volte la differenza tra il vero e il falso è sottile.
Tra le cose belle che il Ruanda ha fatto per riconciliare il paese c’è il Gacaca, che è una forma di giustizia ispirata alla tradizione locale, istituito per gestire le centinaia di migliaia di persone accusate di crimini durante il genocidio.
Tutti i ruandesi in generale si sono resi conto che ormai qualcosa deve cambiare e ciascuno deve prendersi le proprie responsabilità.
Non è un percorso facile ma non per questo è impossibile. I passi che fa il Ruanda giorno per giorno in tutti i campi, danno una grande speranza. Si cerca di andare avanti a tutti i costi. Una delle tante cose che fanno vedere i passi che sta facendo il Ruanda è che dal novembre del 2009 il Rwanda è diventato ufficialmente il 54° membro del Commonwealth, l’organizzazione che riunisce in maggioranza le ex colonie britanniche. Il Ruanda è il secondo Stato africano dopo il Mozambico ad essere ammesso nel Commonwealth , pur non essendo mai divenuto una colonia britannica. Comunque tutti i Ruandesi, cattolici e non cattolici collaborano a cercare delle risposte sempre più concrete a delle ferite del genocidio che nonostante 16 anni di differenza si fanno sentire nella povertà e solitudine di tanti bambini che hanno perso i genitori e sono rimasti soli senza nessuno, nelle vedove che sono rimaste senza mariti né figli a volte con delle ferite fisiche. Le ferite del genocidio rimangono anche a chi ha ammazzato delle persone e non riesce a cancellare dentro di sé ciò che ha fatto nonostante abbia avuto il perdono da parte dei familiari delle vittime, ma le ferite rimangono anche in tanti ruandesi che hanno i loro cari che hanno partecipato nel genocidio e non vogliono chiedere perdono. Ricordiamoci che è un dolore non solo vedere tuo padre ammazzato senza motivo ma è altrettanto doloroso vedere tuo padre ammazzare una persona senza motivo. Ma oltre tutto, il Ruanda guarda avanti con gli occhi fiduciosi con la speranza di superare tutti i limiti che gli impediscono di andare avanti come vorrebbe.
Grazie a Jean Paul Habimana per la sua testimonianza, perchè queste cose non accadano mai più.
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