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Lo Sport è lo specchio della società: in qualsivoglia modo, sul rettangolo di gioco si proiettano vizi e vezzi di un Paese; isterismi e mezze verità, che si sa sono più lesive delle bugie. Tacere dinnanzi alle parole di Gianluigi Buffon, portiere e capitano della Nazionale italiana di calcio, per noi sarebbe come smentire la nostra identità, prima ancora di farne un problema etico e sportivo.
Chi come il CSI promuove quotidianamente, e non senza grandissime difficoltà, i valori di uno sport sano ed incondizionato dagli eccessi dello show business si sente profondamente oltraggiato dalle immagini e dalle parole che da sabato sera si vedono in tv. Ci chiediamo: quale esempio per i nostri ragazzi? Campioni che sferrano cazzotti di soprassalto, campioni che si spintonano fin dentro gli spogliatoi, dirigenti e allenatori furibondi e litiganti per una mera questione di interessi. O ancor peggio beniamini dei tifosi che affermano a posteriori di non aver avuto un briciolo di remora nell’essere da aiuto al direttore di gara in una fase concitata della gara. Non si tratta di una valutazione tecnica o personale, bensì dei fatti inequivocabili e davanti agli occhi di tutti.
« Molto di più di una questione di eleganza, – esordisce il presidente reggino del CSI, Paolo Cicciù – si tratta di onestà. Lungi da noi essere “stucchevoli” e moralizzatori. Ma ci appartiene, a parlarne sono i fatti, uno stile inconfondibile: lo stesso per cui la CEI ci ha affidato il ruolo di ente sportivo per eccellenza del mondo cattolico, che dir si voglia comunque tutela i basilari diritti della dignità dell’uomo, prima ancora che dell’atleta ».
Come reagire? Noi non possiamo formulare esposti al giudice federale, ma possiamo schierarci come parte lesa, davanti ad un tribunale molto meno clemente di un ufficio giudiziario sportivo. La corte in questione è quella del sentire comune, di chi – partita dopo partita – calca i campi di gioco di provincia, dove spesso e volentieri le uniche luci a brillare non sono quelli dei riflettori, ma i gesti di fair play vero e le uniche telecamere a riprendere le gesta degli atleti in campo, sono gli occhi di genitori, parroci, amici e responsabili degli oratori ammaliati dal talento umano, prima ancora che calcistico dei propri ragazzi.
« Parte lesa che – prosegue Cicciù, dirigente nazionale del CSI – deve necessariamente ricevere un risarcimento danni. Nello specifico un “risarcimento danni etico”: la soluzione ci appare limpida, dinnanzi agli occhi. Rispolverare il sacrosanto dovere alla “testimonianza credibile”, molto più di un risarcimento, ma un vero e proprio modus operandi ».
Chiediamo in modo chiaro ed univoco che gli sportivi che si sono resi protagonisti di atti violenti o che hanno comunque condotto ad ideali lontani dalla sportività e dell’onestà debbano “scontare” una giornata di ri-qualifica sociale: incontri con i ragazzi di cui sono idoli per spiegar loro che un uomo, come uno sportivo, può sbagliare, ma che i valori sani sono sempre da preservare e da tenere ben fissi dinnanzi ai propri occhi. Vince chi perde del proprio egoismo e della propria malizia.
« C’è bisogno di un segnale forte, – conclude Paolo Cicciù – che faccia eco: noi abbiamo il coraggio ancora una volta di andare controcorrente e di percorrere la strada più difficile, ma quella che punta dritto al bene dei nostri ragazzi, perché siamo profondamente stanchi di parlare di emergenze educativa, ma desiderosi di poter descrivere un cambiamento reale dei giovani. Un cambiamento tangibile, così come i gesti che chiediamo siano fatti da chi rappresenta un esempio per loro ».
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