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Amarissime sono le dichiarazione del campione olimpionico nella categoria 50 km di marcia a Pechino 2008 Alex Schwazer, altrettanto profondo il baratro in cui è caduto: fine della carriera agonistica a soli 28 anni. A questo punto è facile fare demagogia sull’accaduto, persino i media sembrano avere un atteggiamento bivalente: da un lato i forcaioli, d’altro canto coloro i quali accentuano l’onestà intellettuale del campione ferito.
« Noi del CSI – esordisce il presidente provinciale Paolo Cicciù – da anni ci siamo prodigati a immettere un virus positivo tra i nostri atleti; un virus che non lenisce il corpo ma lo risana da possibili “sbandamenti”: prima di tutto l’uomo, il ragazzo prima dell’atleta. Essere uno sportivo sano vuol dire amare se stessi, amarsi attraverso l’attività motoria e agonistica, nel senso puro del termine: decentrarsi per entrare in confronto – prima ancora che in competizione – con un altro atleta – un altro me prima ancora che un avversario – impegnato nella mia stessa gara ». Dietro uno sportivo ci vuole un uomo e ci vuole un “gioco di squadra” serio e responsabile: la famiglia, gli allenatori, i dirigenti non devono cogliere il rischio di “sfruttare” le capacità di un ragazzo per riempirlo di aspettative, di tensioni, di doping mentale (quando non arriva quello medico). Non siamo davanti a “barattoli vuoti” – per dirla alla Charles Dickens – siamo di fronte, l’uno all’altro, a persone, individui di cui sono fisiologiche le battute d’arresto, le fragilità. Chi come il CSI si sente chiamato in causa quando fatti come quelli di Schwazer alimentano polemiche, piuttosto che interrogativi, ribadiamo chi come noi è in prima linea nel concepire, diffondere e cercare di raccogliere i frutti dello sport sano, non può fermarsi alla demagogia.
« A livello giovanile – incalza Cicciù – è necessaria un vera rivoluzione culturale : chi fa uso di cannabis o di qualsivoglia droga leggera, chi fa uso spropositato di alcol è un dopato; è una persona che falsa la propria personalità, il senso di amor proprio e di responsabilità personale verso se stesso che è alla base del vivere da “autentico sportivo”. Chi si mette alla guida in stato di ebbrezza o confusionale dovuto a droghe dovrebbe essere espulso dalle federazioni o dai comitati di promozione sportiva come il CSI: in questo caso viene meno anche la responsabilità verso terzi e la loro incolumità, che non può coincidere con la mentalità di un calciatore o di un pallavolista, tanto per fare un esempio ».
Sono di questi giorni i dati diffusi dal Ministero della Salute in cui l’uso di cannabis fra le giovani generazioni è in aumento: troppi ragazzi smettono di amarsi, troppi sono quelli che abbandonano lo svago con gli amici, tra cui anche il praticare lo sport, per trovare delle scorciatoie vacue di felicità. Il CSI di Reggio Calabria si impegna formalmente con questa nota stampa ad aprire un tavolo tecnico assieme ai soggetti deputati dalla legge, agli istituti scolastici e a tutte le agenzie educative coinvolte a vario titolo nella prevenzione, lotta e cura rispetto ai casi di tossicodipendenza e alcolismo giovanile per formulare un “piano di prevenzione nello sport” . In occasione del Festival Nazionale dello Sport Educativo verrà lanciato un progetto di concerto con l’Azienda Sanitaria Locale con il tentativo di coinvolgere la Commissione Federale Antidoping della F.I.G.C..
« Dobbiamo – afferma Cicciù – necessariamente impegnarci per creare un nuova governance sportiva che adotti un modello di prevenzione rispetto alle droghe. Questo non è un problema lontano dai campi di gioco, ma è per lo più un problema che allontana dai campi di gioco molti giovani ». Dobbiamo sentire l’impellenza di approfondire rispetto ai casi di uso di droghe leggere e abuso di alcol tra i giovani sportivi: la piaga è in aumento e segna in modo indelebile la crescita umana delle persona coinvolte. Bisogna necessariamente prevenire, prima che dover curare ferite dell’anima come quella di Schwazer, atleta solo, che non ha trovato alcuna alternativa che tradire se stesso per falsare una competizione olimpica, basata sui valori decoupertiani della lealtà sportiva prima di tutto.
Bisogna con ancora più coraggio scommettere sullo sport giovanile e sui – cosiddetti – campionati minori che mai avranno le luci della ribalta olimpiche: è da questi allenamenti e competizioni sportive che gli uomini di domani saranno persone carichi di responsabilità e buon senso e non “barattoli vuoti” da colmare di escamotage. « La nostra medaglia d’oro – conclude Paolo Cicciù, da poco nominato coordinatore nazionale del progetto CSI “Oratorio Cup” – sono i giovani e le loro aspettative: il disincanto nei loro occhi nel vedere che un gioco può e deve cambiarti la vita è per noi motivo di crescita nella programmazione e nell’invito formale che facciamo ad enti, organizzazioni e mass media per risvegliare una coscienza sportiva critica troppe volte seppellita dai risultati, prima ancora che dai volti ».
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