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Commercio al dettaglio in calo in Italia. Ad aprile – secondo i dati dell’Istat – l’indice destagionalizzato delle vendite al dettaglio ha segnato una diminuzione congiunturale dell’1,6%. Nel confronto con marzo 2012, le vendite diminuiscono dell’1,5% sia per i prodotti alimentari sia per quelli non alimentari.
Un ribasso tendenziale così forte non si registrava almeno dal gennaio del 2001.
Rispetto ad aprile 2011, l’indice del totale delle vendite segna una caduta del 6,8%: le vendite di prodotti alimentari diminuiscono del 6,1%, quelle di prodotti non alimentari del 7,1%.
Le vendite per forma distributiva mostrano, nel confronto con aprile 2011, una marcata contrazione sia per la grande distribuzione (-4,3%), sia per le imprese operanti su piccole superfici (-8,6%).
Nei primi quattro mesi del 2012, rispetto allo stesso periodo del 2011, l’indice grezzo diminuisce dell’1,6%. Le vendite di prodotti alimentari segnano una flessione dello 0,2% e quelle di prodotti non alimentari del 2,2%.
”I dati sul commercio diffusi oggi dall’Istat dipingono una situazione di eccezionale gravità per il Paese, e confermano l’urgenza di interventi che facciano ripartire l’intera economia”. Lo rileva, in una nota, la Confesercenti precisando che ”dalle rilevazioni dell’istituto di statistica arrivano due segnali che non possono essere sottovalutati: una situazione di grande sfiducia nel Paese e un disagio economico e sociale crescente e inarrestabile. Non possiamo perder tempo a leccarci le ferite: Governo, Parlamento e forze sociali devono ritrovare la via di un confronto rapido, costruttivo, capace di decisioni chiare per favorire la crescita economica”.
Per la confederazione ”ad aprile, infatti, i consumi delle famiglie italiane sono stati soffocati da una crisi economica troppo lunga e da una pressione fiscale ormai insopportabile, dall’IMU alle accise sui carburanti, che limita sempre di più la disponibilità di reddito, trascinando di conseguenza le vendite ai livelli più bassi dal 2001. Un calo che investe tutti, ma che pesa soprattutto – ancora una volta – sui piccoli negozi, senza risparmiare la stessa grande distribuzione, e coinvolge tutti i settori merceologici, alimentari inclusi, che anzi segnano la caduta più forte degli ultimi 11 anni. Gli italiani stanno dunque letteralmente tirando la cinghia: nel Mezzogiorno la riduzione della spesa per cibo e bevande riguarda una famiglia su due; una su tre al Nord.
Le prospettive per l’immediato futuro, poi, restano negative in modo inquietante: nel 2012 il reddito disponibile reale scenderà per il quinto anno consecutivo e la capacità di consumo degli italiani si ridurrà a livelli inferiori a quello del 2007, quando la crisi ebbe inizio ”.
Per evitare che questo ”periodo nero” dei consumi si tramuti in una notte fonda, per Confesercenti ”e’ necessario un pacchetto di interventi urgenti e strutturali per ridare fiato ai redditi delle famiglie ed alle imprese. Tagliare con coraggio la spesa pubblica e liberare risorse per investimenti e consumi resta la via maestra. Nel frattempo, si evitino errori peggiori: non sembra affatto scongiurata l’eventualità di aumenti delle aliquote Iva previsti a ottobre e gennaio prossimo. Che causerebbero un maggior carico fiscale per ciascuna delle 24 milioni di famiglie italiane di oltre 420 euro annui. Un onere che si aggiungerebbe ai quasi 150 euro già sopportati per l’aumento dell’Iva ordinaria al 21%, varato nell’autunno 2011”.
Un aumento consistente che non potrebbe non avere effetti sui consumi delle famiglie, specie quelle soggette a blocco nominale dei redditi (pubblici dipendenti) o caratterizzate da incertezza sulla stabilità del posto di lavoro e/o del reddito (dipendenti privati e lavoratori autonomi). Non bisogna dimenticare, poi, che l’intervento sull’IVA avrebbe un effetto anche sui prezzi al consumo, stimabile – limitatamente alla prima parte della manovra (ottobre 2012) – vicino a 1,5 punti percentuali”.
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