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La vicenda giudiziaria del cittanovese Vincenzo De Moro ha inizio nel novembre del 1998 quando lo stesso, insieme ad altri nove coimputati, è stato arrestato con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso quale presunto affiliato alla “cosca Albanese”, clan operante tra i territori di Cittanova e Molochio ed in faida per molti anni con la cosca rivale dei Facchineri, e volto ad ottenere, avvalendosi della forza intimidatrice promanante dal vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento ed omertà, la gestione ed il controllo delle attività economiche private esistenti in quel territorio ed ottenendo, attraverso l’attività estorsiva, ingiusti profitti a favore dei propri associati.
Al De Moro, in particolare, veniva contestato il rapporto di contiguità con uno degli esponenti del della “ndrina”, Mario Vernì, dal quale, a giudizio della Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, sarebbe derivata la prova della sua appartenenza all’associazione.
Lo stesso era considerato il custode delle armi del clan poiché erano stati precedentemente rinvenuti dai Carabinieri del Nucleo Operativo di Taurianova, in un immobile di sua pertinenza, numerose armi, munizioni e polvere da sparo.
Al termine del giudizio di primo grado il De Moro, difeso dall’avvocato Antonino Napoli del foro di Palmi, era stato assolto dall’accusa di associazione mafiosa nonostante la richiesta di condanna del Pubblico Ministero della Distrettuale Antimafia.
Successivamente, però, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, accogliendo l’appello del Pubblico Ministero aveva riformato la sentenza di primo grado e lo aveva condannato quale partecipe dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta.
Avverso la sentenza di condanna aveva proposto ricorso in Cassazione l’avvocato Antonino Napoli che ha evidenziato come la motivazione della sentenza di condanna difettava in ordine agli elementi idonei a far ritenere che il De Moro fosse affiliato, e pertanto partecipe, della “cosca Albanese”.
La Cassazione ritenendo fondato il ricorso del difensore aveva annullato la sentenza della Corte di Appello, disponendo un nuovo giudizio.
La Corte di Appello di Reggio Calabria (composta dalla dott.ssa Costabile, presidente, dott. Bandiera e Cappuccio, a latere) ritenendo insuperabili le osservazioni della Corte di Cassazione e quelle esposte in discussione dal difensore, avvocato Antonino Napoli, che ha concluso per la conferma della sentenza assolutoria di primo grado, ha ritenuto di derubricare la condotta in favoreggiamento, dichiarato prescritto, assolvendolo dal reato di partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso.
Pertanto, dopo 14 anni di dure battaglie processuali, che hanno determinato una custodia cautelare in carcere dal 4 novembre 1998 al 25 ottobre del 2000, nei confronti del De Moro è stato escluso il reato associazione mafiosa. Tuttavia, la vicenda processuale del De Moro potrebbe non essere conclusa se lo stesso riterrà di impugnare in Cassazione anche la dichiarazione di prescrizione del reato di favoreggiamento.
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