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Il Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Mario Catania, in visita ieri in Calabria, ha ragione quando dichiara che oggi “il gap Sud-Nord è esattamente lo stesso che c’era 50 anni fa” e che “bisogna chiudere 60 anni di storia in cui abbiamo abituato il Mezzogiorno a chiedere sostegno a Roma” perché “ciò non è più possibile ma nemmeno sostenibile”.
Ha altresì ragione quando afferma che i problemi maggiori gravanti da sempre sulle economie del Sud sono le infrastrutture e la criminalità organizzata.
Secondo gli elaborati SVIMEZ, negli ultimi cinquant’anni, circa l’1% del PIL nazionale ogni anno è stato “investito” dallo Stato italiano per il Mezzogiorno. Si tratta di una quantità di denaro impressionante che avrebbe dovuto produrre risultati sempre più evidenti e tangibili su piano della crescita.
Una parte importante di queste risorse, circa 1/3, è stata destinata a sussidi, agevolazioni e incentivi per le imprese private, e senza voler considerare quelle stanziate per le aziende composte pubbliche, l’enorme massa di denaro erogata sarebbe potuta servire idealmente a costruire più di venti Ponti sullo Stretto.
Nell’ultimo decennio, inoltre, il 70% di tutte le erogazioni alle imprese è stato effettuato in conto capitale, ovvero a fondo perduto.
Prima di entrare nel merito di ogni settore e investimento, più in generale, rispetto agli esiti non proprio positivi di questo fiume gigantesco di denaro pubblico, ci si dovrebbe interrogare profondamente su molti aspetti “distorsivi” del meccanismo degli incentivi. La vera questione di fondo riguarda l’azione e l’utilità effettiva dello strumento. Gli incentivi, così come concepiti e gestiti fino ad oggi, producono vero sviluppo?
La loro ragion d’essere dovrebbe risiedere nella possibilità di spingere l’imprenditore a realizzare un investimento che non avrebbe fatto, o a realizzarlo in misura superiore rispetto al previsto. La costatazione della realtà e analisi interne del Ministero dello Sviluppo Economico evidenziano, però, che i principali strumenti agevolativi messi in campo negli ultimi decenni per il Mezzogiorno (legge n. 488, legge n. 388, Patti Territoriali), avrebbero clamorosamente mancato il loro obbiettivo. Alla prova dei fatti, nessuno di essi avrebbe prodotto un vero flusso aggiuntivo d’investimenti, ma piuttosto “effetti collaterali”.
La scarsissima efficacia degli incentivi è in realtà una sorta di “verità nascosta” per carità di Patria assistenziale che economisti, burocrati ed esperti di politiche dello sviluppo conoscono molto bene.
L’aspetto peggiore della natura discrezionale degli incentivi per il Mezzogiorno e quindi anche per la Calabria, è l’attribuzione agli apparati pubblici di un forte controllo, “potere d’intervento”, nella selezione dei progetti da sostenere.
Una scelta infelice che sembra scontrarsi spesso con la mancanza nelle burocrazie locali del “know how” necessario per valutare oggettivamente le iniziative imprenditoriali e con l’aumento notevole del rischio per la formazione di “zone grigie” di corruzione riscontrate nell’assegnazione degli aiuti.
Inoltre, l’affidamento alla macchina burocratica del ruolo di intermediazione nella gestione delle risorse comporta un aumento esponenziale dei costi di transazione anche a carico del sistema delle imprese, costrette a dedicare tempo e notevoli mezzi propri agli adempimenti richiesti dalle strutture pubbliche.
Il problema principale che ostacola ogni sviluppo e rende vano il meccanismo degli incentivi così come concepiti, sembra dunque essere un apparato pubblico capace spesso di alimentare assistenzialismo, clientele e di reprimere la sana imprenditoria. Gli incentivi così come gestiti sono uno degli strumenti preferiti dalla “cattiva politica”, quella dello sguardo corto, del clientelismo come strategia per acquisire consenso, dell’erogazione di “favori” come fine e mezzo del potere politico. E’ proprio questo tipo di politica che rende il Mezzogiorno e quindi anche la Calabria schiava e costretta alla perenne subalternità economica e culturale.
In un periodo di profonda crisi come quello che stiamo attraversando, in un clima d’incertezze per tutti che colpisce soprattutto le giovani generazioni, le soluzioni per rilanciare la crescita e sostenere concretamente lo sviluppo economico delle imprese non possono che essere innovative quanto radicali sul piano delle scelte e delle misure da adottare.
Un sistema a burocrazia zero, caratterizzato da una fiscalità di vantaggio che sostituisca l’attuale strumento degli incentivi, la sua gestione e il suo funzionamento attraverso un’esenzione fiscale e contributiva totale, corrispettiva alla quantità di denaro comunque prevista come erogazioni e trasferimenti diretti alle imprese, potrebbe rappresentare una soluzione, applicabile soltanto agli investimenti imprenditoriali mirati a progetti sostenibili di elevato contenuto innovativo e tecnologico e che comunque sappiano garantire la valorizzazione del patrimonio e l’utilizzazione delle risorse peculiari del territorio.
Una misura così radicale, forse provocatoria sul piano politico ma sicuramente efficace dal punto di vista tecnico dell’intervento, troverebbe sicuramente più di un ostacolo di incompatibilità con le norme comunitarie vigenti in materia di aiuti di Stato e la questione andrebbe affrontata proprio politicamente per riconoscere alle aree svantaggiate del Paese, come la Calabria, la necessità di interventi territoriali di questo tipo, anche in previsione dell’entrata in vigore dall’1 gennaio 2014 del nuovo quadro strategico comunitario “Europa 2020”.
Quale momento migliore per intervenire e incidere positivamente se non questo che vede un governo tecnico impegnato a livello europeo nel tentativo di ristabilire la grave condizione economica del nostro Paese, anche attraverso misure rigorose e miranti alla crescita reale.
La proposta di un sistema agevolativo automatico a burocrazia zero e caratterizzato da una fiscalità di vantaggio, potrebbe determinare il vero salto di qualità per la Calabria e il Mezzogiorno intero cui auspica il Ministro Mario Catania, utile a rilanciare l’economia e ad eliminare una zavorra allo sviluppo economico rappresentato appunto dalla burocrazia e dal potere di intermediazione non sempre trasparente delle strutture amministrative locali. In questo modo, non sarebbero più i signori del voto e i satrapi delle tecnostrutture a scegliere il destinatario dell’aiuto, ma si lascerebbe finalmente campo libero al mercato, alla competizione e al merito.
Quella della Calabria è una realtà ricca di risorse e potenzialità economiche, dove il settore agricolo, in tutte le sue forme che spaziano dall’agroalimentare al turismo, può e deve essere il primo settore a trainare la crescita della Regione.Perché ciò avvenga dunque, è necessario e urgente mettere in campo interventi strutturali e radicali utili ad agevolare l’inserimento imprenditoriale eliminando tutti quegli ostacoli di natura burocratica e fiscale che scoraggiano qualsiasi investimento e il futuro.
Cesare Anselmi
Componente Coordinamento Regionale FLI Calabria
Responsabile Commissione “Politiche Giovanili” FLI Calabria
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