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Difficile non considerare la vicenda Baldassarro-Morosini una “caduta di stile”. E ciò partendo da un considerazione che può apparire ovvia ma che tanto ovvia, alla luce di quanto accaduto, non è: ognuno, si tratti dell’arcivescovo di una importante città del sud o di un giornalista di importanti quotidiani, è libero di esprimere le proprie idee, di propugnarle, di renderle pubbliche e di battersi per affermarle.
Monsignor Morosini, parlando dall’alto della Sua cattedra e con riferimento specifico al caso di don Nuccio Cannizzaro, ha espresso le proprie idee e convinzioni in merito alle garanzie che la stessa Costituzione assegna a chiunque sia indagato per qualsivoglia reato. Il collega Peppe Baldessarro, non sui giornali per i quali scrive ma su Facebook, ha commentato le esternazioni di Monsignor Morosini facendo capire, sin troppo esplicitamente, di non essere d’accordo con quanto detto dal presule.
Se Peppe Baldessarro avesse scritto su Facebook, ad esempio, “sono assolutamente in disaccordo con quel che ha detto Morosini, ed anzi considero ciò che ha detto assai grave per il messaggio che può trasmettere”, il commento non avrebbe certo suscitato le reazioni che ha suscitato facendolo diventare un “caso” e sarebbe rimasto circoscritto nell’ambito delle valutazioni, condivisibili o meno ma comunque legittime, di un cittadino che è anche un giornalista.
Quel che ha qualificato negativamente il commento di Baldessarro è stata la terminologia usata per contrapporsi alle affermazioni di Morosini. Terminologia oggettivamente volgare, figlia non certo della professionalità di Baldessarro bensì, probabilmente, delle suggestioni che i social network spesso inducono. Chi ci scrive, infatti, è magari inconsciamente convinto di parlare solo ad “amici” e conoscenti virtuali o reali e si esprime come se si trovasse al bar, sottovalutando il fatto che invece i messaggi su Facebook finiscono sempre, in qualche modo, con l’uscire dalla cerchia di “iscritti” alla propria pagina.
Sono convinto che, per primo Baldessarro, sia dispiaciuto per questa caduta di stile, così come sono convinto che Monsignor Morosini (che peraltro è giornalista pubblicista di vecchia data) per i valori cristiani di cui è depositario e divulgatore, avrà già classificato il fatto per quello che è. Sono altresì convinto che non mancherà l’occasione per un chiarimento anche di natura personale tra l’Arcivescovo Morosini, da pochi giorni alla guida di un diocesi di grandi tradizioni e afflitta da innumerevoli emergenze sociali, ed il collega Baldessarro, impegnato quotidianamente ad informare i propri lettori su temi sempre delicati e spesso particolarmente scabrosi.
Gli insulti non aiutano la Calabria a liberarsi di antiche e nuove schiavitù; il confronto, anche dialettico ma sempre mantenuto sui binari della correttezza, della educazione e della continenza verbale, sì.
Giuseppe Soluri
Presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Calabria
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