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Cara Annarosa, se mi avessi scritto nell’immediatezza dei fatti, non avrei potuto esimermi dal concederti qualche “attenuante generica”. Avendolo fatto dopo 11 giorni dalla pubblicazione della notizia su “Giornalisti Calabria”, ti rispondo nei termini che merita chi ha avuto tutto il tempo e il modo per riflettere.
Ho sempre avuto grande stima nel tuo lavoro e non voglio credere che quanto avvenuto in questa circostanza possa essere frutto di ignoranza mista a malafede. Voglio, piuttosto, immaginare che l’intera vicenda sia riconducibile alla maldestra opera di qualche cialtrone che ha pensato di strumentalizzarti offrendoti errate chiavi di lettura.
Se così non fosse, infatti, da cittadino che paga regolarmente il canone della Rai comincerei ad avere qualche dubbio sulle tue capacità di analisi e di sintesi. Ho ricevuto la tua mail venerdì 18 maggio, alle ore 12.29, mentre nel salone della Fnsi, a Roma, partecipavo ai lavori della Commissione Lavoro Autonomo, conclusasi in serata. Il tempo per rientrare a Reggio e, l’indomani, dalle 8, ho partecipato ai lavori dell’Assemblea regionale dell’Ussi Calabria, protrattasi sino alla tarda serata di sabato.
Ti avrei scritto ieri stesso, al massimo oggi, in privato, come hai fatto tu inviandomi la lettera – su una mail personale a conoscenza di una ristrettissima cerchia di persone – indirizzata a me e, per conoscenza, al presidente della Fnsi, Roberto Natale. A proposito: perché solo al presidente della Fnsi e non al segretario generale, Franco Siddi, che è la massima autorità della Federazione Nazionale della Stampa, della quale guida l’azione sindacale ed ha la rappresentanza legale?
Una lettera privata, inviata ad un mio indirizzo privato che – ritenevo – richiedesse una risposta privata. In caso contrario, non comprendo per quale motivo ti sia procurata quel mio indirizzo privato, piuttosto che scrivermi ai due pubblicizzati su “Giornalisti Calabria”.
Invece ieri, alle 15.54, ricevo la telefonata – la prima di una lunga serie – di un collega che mi esprime solidarietà per quanto pubblicato in prima pagina dal direttore editoriale del “Quotidiano della Calabria” a corredo della tua lettera che – sottolineo – aveva per destinatari solo me e Natale.
Ringrazio il collega e, nel pomeriggio, mi procuro copia del giornale che – confesso – non compro più da quando non paga i giornalisti, spesso mortificati nelle loro funzioni, non rispetta il contratto nazionale di lavoro, sfrutta i corrispondenti e i collaboratori, chiede ai redattori di sottoscrivere “transazioni” con “rinuncia a ogni e qualsiasi pretesa connessa al risarcimento di differenze di retribuzione spettanti per lavoro ordinario, straordinario o notturno, per inquadramento, trasferte, missioni, ferie, festività, permessi, riposi, mensilità aggiuntive ed altri istituti indiretti, comprese le eventuali differenze sul calcolo del Tfr, nonché a ogni altra indennità e istituto previsto dalla contrattazione collettiva e/o aziendale applicata, ed ogni altro diritto di natura risarcitoria, anche a titolo di danno, biologico e/o mobbing, contrattuale od extracontrattuale, anche derivante dall’art. 2087 cod. civ., con rinuncia ad ogni azione di accertamento o di condanna, anche generica, avente ad oggetto i diritti ora menzionati, o con questi connessa…”.
Un giornale che vede il Sindacato Giornalisti della Calabria, la Fnsi e le rappresentanze sindacali aziendali, provinciali e regionali al fianco di giornalisti, grafici, poligrafici e amministrativi in stato di agitazione, tra l’altro, per gli stipendi e le spettanze non corrisposti ai redattori e ai collaboratori e il mancato riallineamento del contratto di lavoro. Una situazione drammatica che, il 9 maggio scorso, ha costretto l’assemblea ad affidare al sindacato – a tutto il sindacato – un pacchetto di tre giorni di sciopero.
Ti ringrazio, dunque, cara Annarosa della scelta di fare della vicenda una “piazzata” offrendomi, così, la possibilità di esprimere alcune considerazioni in vista dell’incontro di oggi con l’editore del “Quotidiano della Calabria” che, questa volta, non potrà certo prendersela con il sindacato o i suoi giornalisti per aver affrontato pubblicamente i problemi della sua azienda.
Con estrema franchezza, sono costretto a farti notare che l’intera lettera recante in calce la tua firma è – mi limito a dire – a dir poco imbarazzante.
Innanzitutto perché il sindacato non è affatto “sceso in campo”, né – come, invece, falsamente affermi – io ho chiesto “un parere asettico a un supertecnico”.
“Giornalisti Calabria”, il quotidiano d’informazione per il mondo dell’informazione, che non spetta a me ricordare quanto venga apprezzato a livello nazionale per il servizio che offre, si è limitato a pubblicare una , ricevuta il 7 maggio alle ore 7.33, costituita da un dispaccio dell’Ansa – opportunamente citata – e dal relativo commento del presidente emerito dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. Una notizia, dunque, che abbiamo deciso di pubblicare senza entrare nel merito della vicenda.
Nella tua infelice considerazione “hai perso una buona occasione, anzi due: quella di tacere” vorresti, forse, dirmi che l’alternativa al non schierarsi dalla tua parte sarebbe stata censurare la pubblica nota di Franco Abruzzo? E questo perché, secondo te, essere iscritta al Sindacato ti autorizza a pretendere da me una posizione “a prescindere”?
Innanzitutto – ti faccio notare – il Sindacato era completamente all’oscuro della vicenda perché da te mai investito, né informato sui fatti. Nè mi hai mai messo a conoscenza di un tuo contenzioso approdato in Commissione Paritetica che, tra l’altro, come ricordi è di pertinenza della Rai e dell’Usigrai, quindi non coinvolge, né informa, il sindacato dei giornalisti che in caso di tua richiesta si sarebbe, comunque, attivato come ha sempre fatto a tutela di tanti altri colleghi della Rai.
Parli di una “parabola” di quindici mesi di “imbavagliamento” nei tuoi confronti? Denunciata a chi? Da parte tua – lo sai bene – non c’è mai stata una sola segnalazione, né scritta, né verbale, al nostro Sindacato, al nostro Ufficio Legale, tantomeno al sottoscritto, e ti permetti di accusarmi pubblicamente di non averti difeso?
A memoria d’uomo, ricordo solo due telefonate da te ricevute: per segnalare l’uscita di un tuo libro e per invitarmi alla presentazione dello stesso. Avessi, ad esempio, mandato anche a noi l’interrogazione parlamentare, l’avremmo pubblicata il giorno prima senza il commento di Abruzzo e la storia, magari, sarebbe finita lì. L’abbiamo, invece, ricevuta da Franco Abruzzo e, giornalisticamente, abbiamo ritenuto doveroso pubblicare le due posizioni. Punto.
Mi poni cinque domande e seguito a risponderti. Non sono un attento lettore di giornali regionali perché – ti ripeto – non compro quelli che non pagano i giornalisti. In passato compravo tutti i quotidiani calabresi, oggi compro solo la “Gazzetta del Sud”, l’unico che rispetta il contratto di lavoro, le relazioni sindacali, la dignità di chi lavora e, soprattutto, che paga tutti i contributi e le spettanze di quanti, con serietà e sacrificio, contribuiscono a mandare in edicola giornali i cui editori, invece di cospargersi di cenere il capo, chiedendo scusa ai lavoratori che non hanno più i soldi per pagare bollette e mutui e sono costretti a unire il pranzo alla cena – quando ci riescono-, si permettono di fare la voce grossa.
Non so se – come dici – qualche altro caporedattore della Tgr scrive sul “Quotidiano della Calabria” perché, ti ripeto, è un giornale che non leggo. Nel caso in cui, però, ci fosse, per lui varrebbero lo stesso ragionamento e la stessa richiesta: rinunci alla collaborazione.
Dovresti insegnarmi, avendo lavorato con Enzo Biagi, che giornalisticamente non è corretto non fare nomi e sparare nel mucchio. Sono certo, comunque, che tra essi non ci sia quello del caporedattore della Tgr Calabria, Annamaria Terremoto, che cito per non coinvolgerla in una disinvolta generalizzazione su fatti relativi alla Calabria.
Il tuo problema, cara Annarosa, è legato all’articolo 8 del contratto che – piaccia o meno – prevede che: “Nessun giornalista può contrarre più di un rapporto di lavoro regolato dall’art.1 (rapporto a tempo pieno). Il giornalista quando sia stato assunto per prestare esclusivamente la sua opera ad un’impresa giornalistica o agenzia di informazioni per la stampa, non potrà assumere altri incarichi senza esserne autorizzato per iscritto dal direttore, d’accordo con l’editore. Se al giornalista non assunto in esclusiva sia, in costanza del rapporto, richiesta la prestazione esclusiva, sarà dovuto un superminimo non inferiore al 13% da calcolarsi sul minimo di stipendio della categoria alla quale il giornalista appartiene, salva la facoltà del medesimo di risolvere il rapporto di lavoro con diritto alle indennità di licenziamento (trattamento di fine rapporto ed indennità di mancato preavviso). In ogni caso il giornalista non potrà assumere incarichi in contrasto con gli interessi morali e materiali dell’azienda alla quale appartiene. Fatti salvi questi interessi, il giornalista potrà manifestare le proprie opinioni attraverso altre pubblicazioni di carattere culturale, religioso, politico o sindacale”.
Giusto o sbagliato, questo è il contratto di lavoro giornalistico Fieg-Fnsi. Si può essere d’accordo o meno. Io, ripeto, mi ero limitato a pubblicare una nota di Franco Abruzzo contenente una posizione a tuo sostegno – l’interrogazione – e il commento di Abruzzo che – ti ripeto – non ho richiesto, ma ho semplicemente ricevuto alla stregua dei circa diecimila destinatari del suo notiziario.
Oggi, chiamato in causa in questo modo a dir poco stravagante, ti dico che, in qualità di segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria sono obbligato – e guai se non lo facessi – a difendere il contratto di lavoro giornalistico che non può piacere solo nelle parti che fanno comodo. Se altri non rispettano le regole, contestiamole assieme, ma non pretendiamo di sentirci autorizzati a rubare perché gli altri rubano o di ammazzare per gli altri ammazzano.
Hai il privilegio di lavorare in Rai e di ricevere mensilmente delle indennità che i collaboratori del “Quotidiano della Calabria” non riuscirebbero a mettere assieme neppure in tutto il corso della loro vita. Ti sembra moralmente accettabile avere la garanzia di lavorare in un’azienda – la Rai – che ti assicura tutte queste – legittime, per carità – tutele e indennità e pretendere una collaborazione fissa su un quotidiano che non paga i giornalisti?
Il problema, cara Annarosa, non è se rinunci a percepire il compenso. E’ la continuità della collaborazione. Qui non si tratta di sentirsi imbavagliato per la censura alla pubblicazione di una lettera o di un intervento occasionale. Nel tuo caso si tratta – ripeto – di una collaborazione fissa, retribuita o meno che sia.
Non entro nel merito dell’obbligo, da parte di chi ha un contratto di esclusiva, di dedicare tutte le sue capacità intellettuali alla testata per cui lavora, mi limito a evidenziare se sia giusto che un editore utilizzi sistematicamente a fini di lucro – perché il giornale, ricordiamolo, è un’impresa economica non benefica – collaboratori, più o meno autorevoli, per riempire le pagine del proprio giornale di rubriche, commenti e articoli non retribuiti e scritti da giornalisti sfruttati e non pagati regolarmente – è il caso di tanti corrispondenti e collaboratori del “Quotidiano della Calabria” – o da chi – è il caso tuo, Annarosa – intende dilettarsi a scrivere avendo le garanzie e la tranquillità economica assicurate dalla Rai.
Il Sindacato, cara Annarosa, ha sempre combattuto contro quei giornali che, avvalendosi di insegnanti, bancari, assicuratori e via dicendo, riempiono le pagine dei giornali senza sborsare un centesimo. E senza versare nulla all’istituto di previdenza che, tra qualche anno, ti assicurerà un trattamento pensionistico che, per la maggioranza della categoria, costituisce sempre più un miraggio pari alla vincita della Lotteria di Capodanno.
A molti “giornalisti della domenica”, infatti, basta la gratificazione di un accredito allo stadio o a teatro, l’ossequio dei compaesani, la frequentazione con personaggi che contano. Questo, tanti editori lo sanno e facendosi forti di tanta “offerta di lavoro gratis” penalizzano, assimilandoli ad essi, tanti precari e tanti giovani che, invece, tentano di vivere esclusivamente di giornalismo.
Cara Annarosa, non è questo il giornalismo che il sindacato ha il compito e il dovere di difendere. Sono da sempre un convinto difensore dei pubblicisti, ma nel rispetto dei ruoli, delle regole e, soprattutto, della dignità umana e professionale del giornalista.
L’articolo 21 della Costituzione, dici bene, garantisce la libertà di pensiero, ma il giornalismo – e dovresti saperlo meglio di me – è ben altra cosa. Tu non sei un cittadino qualunque a cui viene impedito di esprimere liberamente il proprio pensiero, ma un giornalista. Una brava e seria giornalista che, soprattutto ai giovani, dovrebbe dare il più elementare degli esempi: non accettare di lavorare gratis. Soprattutto per quegli editori e quei direttori che calpestano il più elementare dei diritti: la dignità che, cara Annarosa, la nostra Costituzione pone ben 20 articoli prima di quello che si occupa della libertà di pensiero e di stampa.
La Costituzione della Repubblica Italiana, infatti, nell’articolo 1 dei Principi fondamentali, recita che “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”. Quello che tu hai e quello che i giornalisti del “Quotidiano della Calabria” sognano.
Contrariamente a te, non avrei auspicato un tuo silenzio, ma un tuo autorevole intervento: di piena e convinta solidarietà ai giornalisti del “Quotidiano della Calabria” e di vibrata protesta nei confronti degli editori della Finedit e del direttore che li rappresenta in redazione, con una convinta rinuncia alla tua collaborazione.
Quanto all’editoriale del direttore del “Quotidiano della Calabria”, che dire? Si commenta da sè. Replicare sarebbe solo una mera perdita di tempo. Rileva che “Giornalisti Calabria” non si è occupato della vicenda di domenica pomeriggio, ma di averlo fatto il lunedì mattina “in apertura”.
Stendo un velo pietoso sulla questione dell’apertura perché, lo sanno anche i bambini, un giornale on line a ciclo continuo, come il nostro, è come un’agenzia di stampa, quindi non ha apertura, o meglio ogni notizia è di “apertura” fin quando non ne viene inserita una nuova.
Ritengo, invece, francamente provocatorio che il solerte “direttore” si preoccupi di contestarmi l’intempestivo aggiornamento domenicale che, comunque, spesso avviene regolarmente. “Giornalisti Calabria” non è un quotidiano generalista, ma un giornale specializzato che non è tenuto a inseguire la cronaca.
Ma visto che le domeniche stanno tanto a cuore al direttore del “Quotidiano della Calabria”, perché non rende noto l’ammontare dei compensi che vengono corrisposti ai suoi giornalisti per il lavoro domenicale, straordinario e festivo?
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