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Il 28 novembre del 1946 Giuditta Levato di Calabricata, paesino della Calabria, fu sparata dal barone Pietro Mazza. Fu colpita nel suo ventre gravido, senza pietà. Il barone assassino le sparò per dimostrare alle donne che erano con lei che solo lui era il padrone e il dominatore di quelle terre e che la cooperativa, che era sorta per fare grano, pane e gioia di vivere si doveva stroncare. Fu uccisa Giuditta perché era “nuova”, era moderna ed era simbolo di coscienza e serenità di spirito.
Lei si trovò di fronte al suo assassino perché riteneva di avere diritto al lavoro suo e quello delle altre donne della cooperativa di Calabricata. Come viene riportato, nelle sue ultime parole c’è ancora la speranza di un possibile avvenire migliore. “Dite ai miei figli che sono partita per un viaggio lungo, lungo e tornerò quando suoneranno ancora le campane a stormo per tutto il villaggio, allora vedrete che torno”.
Oggi, per l’8 marzo tutti i campanili della Calabria dovranno suonare a stormo, ricordando le donne di ‘ndrangheta che si sono ribellate come lei affrontando una morte orribile e dolorosa. Sono state eliminate e viene lanciato a tutte le altre donne delle famiglie di ‘ndrangheta un monito: voi siete schiave, le nostre schiave e non avete dunque dignità umana! Non pensate mai più di affermare i vostri diritti di donna. Dunque, in questo nostro paese costruito dalla nostra Costituzione, tra le migliori del mondo moderno, la parità dei diritti è relativa al contesto storico e territoriale.
È vero, nel corso della storia, la donna è stata sempre “dipendente” e non solo per la determinante inferiorità fisica, strumentale e introdotta nei miti creativi dei maschi che ne hanno determinato l’immagine riducendola ad oggetto. Distruggiamo dunque ogni mito, affrontandoli criticamente. Nel mondo della ‘ndrangheta le donne devono esistere soltanto attraverso i maschi delle loro famiglie. Le condannate a morte della ‘ndrangheta che si sono ribellate, dunque devono ingoiare acido. La violenza dei loro intendimenti è basata sulla loro concezione patriarcale: noi le abbiamo fabbricate solo per noi stessi, sono di “nostra proprietà” e non hanno diritti umani! La sofferenza delle donne suicidatesi con l’acido è intrinseca alla loro indignazione e il loro agire ribelle è un messaggio per tutti noi, è un messaggio che punta alla ricostruzione della vita senza violenza. Possiamo dimenticarle?
Possiamo non ricordarle ora e qui per sempre?. Per questo propongo all’Italia libera di intestare Strade Piazze e quant’altro. Ma noi donne e uomini impegniamoci concretamente a realizzare luoghi con statue che ricordino chi muore per la libertà. Se ciò si farà incominceranno a suonare le campane della dignità, campane che saranno udite da tutta la società italiana e soprattutto da Giuditta Levato; fermiamo oggi le mani di chi ritiene di essere padrone della vita degli altri e impegniamoci a promuovere politiche efficaci che garantiscano l’autodeterminazione delle donne. Chiediamo con forza noi donne calabresi di destinare risorse finanziarie finalizzate a combattere ogni forma di violenza e che servano davvero a proteggere ogni testimone di giustizia. Questo 8 marzo 2012 riprendiamoci la nostra dignità di calabresi e iniziamo dal sud un serio cammino di ricostruzione dell’Italia.
ANTONIA LANUCARA
PRIMA FIRMATARIA DEL COMITATO “CHI COLLABORA NON DEVE PIU’ MORIRE INGOIANDO ACIDO” – RC 16 SETTEMBRE 2011
PARTITO DEMOCRATICO
GIA’ PRESIDENTE COMMISSIONE REGIONALE
PARI OPPORTUNITA’ DELLA CALABRIA
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