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Riceviamo e pubblichiamo:
Forse un’assemblea di benevoli Dèi voleva che del nostro mare si parlasse per come esso si delineò nel mondo sotto apparenze di miti e di favole, e come queste si svolsero al tempo delle origini col tema d’Ulisse. Dovette accadere che le roboanti notizie di questi ultimi giorni sull’inquinamento del nostro mare, le invenzioni di stampa e le dottrine sapienti chiamate a confronto, svegliassero il sonno degli Dèi, e mentre gli uomini maneggiavano i dati numerici, essi attingessero alle profondità marine, come da un grande ripostiglio, presentando all’umanità l’ennesimo reperto bronzeo, testimone della vera e più interessante storia del nostro mare.
La questione su cui vorremmo ci si impegnasse culturalmente, oltre che nella definizione di misure di tutela delle coste calabresi, è, a nostro avviso, di natura ideologica: come vogliamo raccontare il nostro mare? Come vorremmo che fosse … o come vogliamo che sia? Mentre la prima opzione si presta a facili strumentalizzazioni, la seconda esige un impegno concreto e la volontà di mettere a sistema ogni elemento che abbia la forza di valorizzare la “risorsa mare” in un orizzonte culturale e strategico permanente, disancorato da qualsiasi aspetto congiunturale. E, a tutta prima, il presunto inquinamento delle coste sembra appartenere a quest’ultima categoria.
Dove predicò Pitagora, dove, al largo dell’Jonio, sprofondò l’isola di Calipso, dove splendettero le colonne d’oro e si specchiarono sul mare le più antiche civiltà del mondo, vi sono ancora troppe sorprese da riesumare perché non si possa parlare di nient’altro che di inquinamento. E l’archeologia, che è una scienza con meno di 200 anni, promette troppe speranze per la nostra Calabria e i nostri giovani per stimolare nient’altro che annunci apocalittici e drammatici.
Per di più se i dati che attesterebbero l’inquinamento del mare calabrese si prestano a non pochi interrogativi: quali i siti in cui sono stati effettuati i prelievi? Quante repliche giornaliere per ogni sito? Quante settimanali? Quali gli orari dei campionamenti?
A ben guardarlo, il mare calabrese, in certe stagioni, sembra voler rompere le catene e protendersi in un atto verticale; altre volte, invece, appare deserto e disteso in un’eterna orizzontalità, perché è un mare chiuso. L’Jonio, argenteo, talvolta tenta di scavalcare i letti bianchi dei torrenti come conservasse la memoria delle sue antiche penetrazioni tra i monti e le valli, dove erano i paesi remoti; il Tirreno, più silenzioso, pare ancora intrappolato dalle orlature delle montagne a picco, come un teatro di pietra saldato agli abissi. Entrambi lavorano nelle profondità i relitti bronzei della storia come dentro un’immensa officina in cui ritrovare i segni dei secoli.
Sono queste le cose importanti di cui vorremmo parlare al mondo, ed è probabile che il nostro tempo leghi il suo nome alla resurrezione della Calabria, se solo saremo intelligenti a presentarne i migliori attestati.
Nella società d’oggi, lo sappiamo, basta solo un indizio o un inganno per seppellire la storia per sempre; ma non sarà questo il nostro esercizio per il futuro. Celebriamo un altro ritrovamento a distanza di 40 anni da quello che ci rese importanti nell’Olimpo delle città d’arte. Attenderemo di conoscerne la sua discendenza, l’espressione tipica e completa del suo tempo. Intanto ora tocca a noi ricomporre nel tempo queste altre memorie della nostra vita antica, immagini che non torneranno più, ma uniche e solenni con tutto ciò che vorrebbero dirci.
Giuseppe Bombino
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