Associazione A Rua: “Reggio oggi è più che mai una città perduta”

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Terra di infanti, affamati, corrotti, governanti impiegati di agrari, prefetti codini, avvocatucci unti di brillantina e i piedi sporchi, funzionari liberali carogne come gli zii bigotti, una caserma, un seminario, una spiaggia libera, un casino! Milioni di piccoli borghesi come milioni di porci pascolano sospingendosi sotto gli illesi palazzotti, tra case coloniali scrostate ormai come chiese. (P.P.Pasolini, Alla mia Nazione)

La sensazione di meraviglia è tanta. Sembra di essere stati improvvisamente catapultati in una realtà virtuale. Reggio, oggi, è più che mai una città perduta e questa, per molti, è una verità pagata a prezzi altissimi. Perché essere costretti a pensare di dovere lasciare casa e affetti non è solo triste ma è una angoscia che opprime ogni giorno.

In passato la città, per le condizioni di degrado morale e culturale cui era arrivata, è stata definita “dolente”, “implosiva”.

Nessuno avrebbe mai pensato, però, di assistere ad un giorno in cui da questo stato di cose, probabilmente il livello più basso che la città abbia mai raggiunto nella sua storia recente, si potesse pensare di uscirne dando un colpo di spugna alle ragioni che ne sono state causa. Addirittura prendendosi per mano, tutti insieme, indistintamente. Una realtà, quella di Reggio, che non è figlia di illazioni, invenzioni mediatiche, millanterie da bottega ma, al contrario, è un quadro ignobile certificato anche da istituzioni terze e imparziali.

Non si può insultare l’intelligenza e la dignità di quanti le conseguenze, di questa drammatica condizione, le stanno ancora subendo e pagando sulla propria pelle. Da anni.

Quel manifesto ci appare una operazione surreale. Come se, all’indomani della seconda guerra mondiale, la classe dirigente della Germania nazista, sopravvissuta al conflitto, avesse sottoscritto un appello contro la criminalizzazione dello stato tedesco insieme agli alleati e ai rappresentanti delle comunità ebraiche, dei rom, degli omosessuali…Non funziona così. Noi pensiamo che bisogna essere di parte, come affermava Gramsci. Vittime e carnefici possono stare insieme solo dopo un processo di assunzione di responsabilità di questi ultimi. Mai facendo finta che nulla sia accaduto, o come se il nemico sia tutto fuori di noi. Perché, se così fosse, ne risulterebbe una operazione culturale di cancellazione della memoria collettiva, la distruzione di un patrimonio di storia; una frattura nel continuum della vita di una comunità millenaria. Un’altra frattura, l’ennesima, che rischia di incrinare qual poco che resta di tessuto connettivo fra le diverse componenti del villaggio reggino. Perché, secondo noi, non è solo la ‘ndrangheta l’oggetto di discussione, ma anche il livello morale e civile di una società. La nostra.

Vogliamo aggrapparci ad una, ormai, sempre più esile speranza: quella che ci vuole far vedere un lato positivo nel manifesto di qualche giorno fa e nelle centinaia di nomi che lo hanno sottoscritto. Vogliamo sforzarci di pensare che molti altri, come noi, si siano interrogati, lo stiano ancora facendo, su contenuti, forma, tempi, opportunità, convenienze, buona fede, ragioni personali, interessi, che hanno portato a quel documento e a quelle firme. Da piccola Associazione culturale che si sforza di operare in ambito Educativo, vorremmo prendere quel documento come un inizio per un serio confronto sulla città. Distinguendo però le storie di ciascuno, tutte rispettabili, ma non uguali. Non vogliamo appropriarci di nessuno ma non siamo sicuri che avremmo trovato il nome di don Milani sotto quel manifesto. E anche noi, come il Priore di Barbiana, vorremmo provare, umilmente, a seminare contrasti, discussioni, opposti schieramenti di pensiero…nel tentativo di elevare il livello degli argomenti e di conversazione del nostro popolo.

Il Presidente

Massimo Pirino

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Author: Cristina

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