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RAMMENTO che era un pomeriggio grigio e spento. Io ero dedita all’immancabile lavoro casalingo, quando ricevetti una telefonata di un giornalista di cui non ricordo il nome, che mi informava della scelta di Angela Casella rispetto al sequestro di suo figlio.
Mi chiese di contattare Angela perché intenzionata a scendere nella Locride e mi disse che la donna desiderava accanto a sé solo donne. Era il 1989. A quel tempo mi occupavo, quale responsabile femminile della federazione reggina del P.C.I., dei tanti omicidi che stavamo subendo e che rendevano impossibile la vita nella nostra città: la criminalità uccideva in qualunque posto e a qualunque ora, tra la folla, incurante degli altri. Una mattanza che portò in poco tempo più di 100 morti ammazzati. Si parlava di guerra di ‘Ndragheta.
La degradante situazione sconvolse la città e sopra ogni cosa le donne. In quel contesto nacque a Reggio Calabria il 7 febbraio 1989, presso un noto studio notarile cittadino, l’Associazione Donne contro la mafia e la violenza di ogni tipo.
Socie fondatrici furono venti donne libere e coraggiose, nel silenzio generale della politica, della società e del mondo religioso.
Quella iniziativa smosse il torpore in città e non solo. Quella telefonata dunque, mi trovò e ci trovò pronte come donne, e in prima fila.
L’incontro con Angela fu semplice e cordiale. Mi apparve nella sua sofferenza materna, magra e dolente e forte, così come solo una madre può esserlo. Ci disse: “Io non tornerò a Pavia se non con mio figlio. Io – continuò – non la penso come mio marito. I sequestratori se la dovranno vedere con me!”
La sua coraggiosa e inedita iniziativa, al tempo dei sequestri di persona, stupì l’opinione pubblica. Noi donne dell’associazione lanciammo al Paese il suo grido di dolore.
Il popolo della Locride, l’intera comunità, scelse di stare con lei e contro le ndrine.
Angela conferisce, da madre determinata e coraggiosa, umano calore e alta poesia. La realtà da lei presentata ”smuove la passività”.
La cosa che ci colpì fu l’assenza di sceneggiate. Stava lì, come una vestale, nella tenda da noi portatale, incurante della presenza dei media. Le sue parole sono alte e calde: “voglio riportare a casa mio figlio, costi quel che costi. Io per la sua libertà rinuncio ad ogni benessere.”
La Locride premia Angela e le sta accanto.
Una grande manifestazione, con presenze nazionali raccoglierà il mondo istituzionale e culturale. Viene così rotto il silenzio sui sequestri di persona come “fatto privato”. La politica pulita e senza scheletri scende in campo a gamba tesa. Le donne italiane sono tutte madri amiche e la comunanza di sentimenti produce una forza travolgente. Angela con il suo gesto coraggioso smuove il mondo.
Un giorno mi chiese di andare a S. Luca. Lì voleva incontrare le sue consimili e chiedere loro solidarietà umana e materna. Come si può ben immaginare, la cosa non fu del tutto semplice, ma Angela non poteva andarci da sola. Ci sarebbe comunque andata. E così ci incontrammo con le donne di S. Luca e fummo accolte dal Sindaco del tempo. Non subito le donne di S. Luca le si avvicinarono, ma dopo un’iniziale titubanza durata qualche ora,
l’abbracciarono e le offrirono il pane fatto con le loro mani. In quel momento lei intuì che poteva farcela a riportare a casa suo figlio Cesare, e così fu.
Questa è una storia vera, capace di sconfiggere la paura e che mobilitò le persone.
Il nostro riscontro fu reso dalla partecipazione alle manifestazioni che seguirono, rendendoci, come donne, credibili e vere.
Per finire: la lotta, visibilmente coerente e sana unitamente al coinvolgimento umano, può cambiare il mondo. Gli strumenti ci sono, così come non mancano magistrati coraggiosi. Non tutte le forze preposte al controllo del territorio sono piegate dal silenzio e dall’omertà. Siamo, cara Angela, con il tuo esempio, ancora in tempo a trovare la strada maestra della legalità non di facciata, che serve poco o nulla, ci serve invece quella legalità capace di aiutarci a superare le difficoltà della vita.
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