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Lea Garofalo, Tita Buccafusca, Maria Concetta Cacciola, tre giovani donne e madri calabresi, testimoni di giustizia, chiamate ad un triste destino, sicuramente perché scomode all’interno delle rispettive famiglie i cui uomini appartengono alla ‘ndrangheta.
Tre storie sicuramente diverse che non possono cadere nel silenzio e che lasciano intravedere come sia diventato preoccupante il ruolo della donna che intende reagire al potere criminale e come contemporaneamente tale ruolo non venga adeguatamente tutelato dallo Stato.
Lea Garofalo, di 35 anni, uccisa in un capannone della periferia milanese e poi sciolta nell’acido in un terreno vicino Monza dal suo ex compagno Carlo Cosco, boss della ‘ndrangheta crotonese.
Tita Buccafusca, di 38 anni, moglie di Pantaleone Mancuso, noto boss incontrastato della omonima cosca della ‘ndrangheta vibonese, da qualche mese in libertà vigilata. La donna si è suicidata il 16 aprile scorso ingerendo acido solforico e la sua morte è passata sotto silenzio.
Maria Concetta Cacciola, di 31 anni, moglie di Salvatore Figliuzzi, detenuto e condannato per associazione mafiosa, ma anche parente della nota famiglia Bellocco della ‘ndrangheta rosarnese. La donna si è suicidata sabato sera ingerendo acido muriatico.
Le tre donne avevano deciso di collaborare con la giustizia per tentare di reagire alla vita infernale delle loro famiglie e per cercare di aiutare i propri figli a crescere secondo i canoni del vivere civile.
Le loro morti sono avvenute perché non adeguatamente protette dalla Stato, anche se le stesse avevano disatteso i canoni di protezione.
Lo Stato sa bene, però, che i boss della ‘ndrangheta calabrese non si sottomettono sicuramente alle loro donne e che non accettano le ribellioni delle stesse e sono quindi capaci di istigare al suicidio.
Tre donne delle cosche Garofalo, Mancuso e Bellocco, province calabresi diverse, che sono state costrette a portare con se grandi segreti della ‘ndrangheta calabrese, ma che non sono state adeguatamente supportate nella loro voglia di ribellione e libertà e che, pertanto, lasciano in noi profonda amarezza, ma anche preoccupazione al pensiero di ciò che sta accadendo alle donne delle famiglie mafiose.
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