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Non si può che essere entusiasti dell’arresto, avvenuto all’alba di ieri, di Antonio Cortese, uomo affiliato al clan Lo Giudice della ‘ndrangheta, ritenuto responsabile di alcuni degli attentati o atti intimidatori che hanno colpito la Magistratura reggina ed, oggi, accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso.
E naturalmente esprimo vivo compiacimento alla Squadra Mobile di Reggio Calabria e al Servizio Centrale Operativo.
Ma, senza minimamente voler sminuire la bontà di quest’ultimo arresto, tantomeno il proficuo ed eccellente lavoro della Magistratura e delle Forze dell’ordine, mi sembra che sia giunto il momento di non doversi più soffermare sulle congratulazioni o solidarietà che sono dovute e che, da parte di alcuni, appaiono solo come formali.
Gli ultimi avvenimenti, che vedono apparire figure di collaboratori di giustizia, certamente da ritenersi “strane”, vuoi per la nota struttura familistica della ‘ndrangheta, vuoi per l’immediatezza di convogliare nello status di collaboratore a distanza di solo una settimana dal loro arresto, a mio avviso, tendono ad intorbidire il clima, già di per sé estremamente nebuloso, che grava sull’intera città di Reggio Calabria.
L’area militare delle varie cosche reggine è intaccata quotidianamente, ma rimane imperscrutabile l’area nella quale uomini e donne della ‘ndrangheta alimentano la loro crescita.
Ormai anche i più sprovveduti hanno capito che quanto da mesi sta accadendo a Reggio Calabria e provincia, ed anche fuori dai confini regionali calabresi, non può essere attribuibile alla sola criminalità organizzata, ma che qualche occulto “manovratore” non solo si è reso responsabile di quanto accaduto in città, ma ultimamente sta aiutando ad intorpidire maggiormente la situazione, forse anche per depistare il tutto.
E sotto questa densa nebbia che occulta le verità, ritengo che ogni cittadino abbia il diritto di sapere se il vero “manovratore” risieda a Reggio o altrove!
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