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La Calabria ha un’occasione irripetibile, può finalmente fare storia, e non subirla. Essa si rivela tra le regioni più virtuose di uno stivale, troppo lungo per essere gestito da un centrismo romano esasperante, famelico e cieco. Oggi si può scegliere, tra una Calabria etero diretta da Roma, con la sua lupa che allatta i figli, che si rifà ad un brutto passato, o viceversa si può prendere coscienza delle sue potenzialità e permetterle di rinascere da se stessa, come l’araba fenice. La Calabria può ripartire da una gestione autonoma, inserendosi armonicamente in un insieme unitario ed europeo. Questa regione è intrisa di risorse umane e naturali, non ha da far altro che sradicare i rovi che finora le hanno impedito di esprimersi.
Per infangare i calabresi si è addirittura detto che sono “egoisti e individualisti”, caratteristiche che non hanno solo un’accezione negativa, difatti nel mondo del capitalismo si ergono a virtù. Lasciamo andare al macero tutto quello che è stato, ivi compreso la classe politica che finora si è asservita al potere centrale: Magorno, che rappresenta un PD legato a Renzi a sua volta legato a Berlusconi, a sua volta legato ad un apparato che guarda al Sud come colonia da sfruttare; D’Ascola, che da senatore, il suo massimo sforzo è stata la sottoscrizione della proposta Giovanardi, secondo cui non può essere perseguita la divulgazione di opinioni riguardanti la pedofilia; Ferro, legata ai carrozzoni burocratici e di matrice assistenziale.
La Calabria ha molto da offrire e ben altro a cui pensare, non può certo restare ancorata a poteri oligarchici e massonici. Deve ripulire, ricostruire, svilupparsi e riscattarsi. Ripulire le sue terre dalla spazzatura, fisica e morale, che la avvelena e costringe i suoi abitanti ai viaggi della speranza, per tentare di guarire dai terribili mali causati da discariche, depuratori e sostanze tossiche inquinanti. Bisogna, altresì, ripulire le devianze becere, che quotidianamente distolgono risorse pubbliche destinandole a fini privati, è indispensabile ripulire la mentalità secondo cui essere laureato è meglio che essere operatore agricolo: l’Università sicuramente può far molto, ma non è certo in grado di risolvere tutti i problemi del mondo, né può farsi carico di compiti che non le competono, può sfornare laureati ma non può portare la bistecca e la verdura sul piatto dei calabresi. A cosa servono un esercito di medici o avvocati quando le malattie o i mali sociali, sono frutto di una cattiva gestione del territorio, materiale e umano, e di un doloso maltrattamento che continuamente si ripropone?
La Calabria deve ricostruire una mentalità produttiva più razionale e non baronale; attingere alla memoria del suo passato, rivitalizzare l’idea e lo stile della famiglia, dei suoi valori da cui promana identità, senso di appartenenza e orgoglio consapevole. Questa fertile regione deve riappropriarsi degli stili e delle antiche arti, dei sapori, della produzione e trasformazione delle risorse naturali, come ad esempio il bergamotto e il gelsomino, dell’attività manifatturiera a tutti i livelli, promuovendo una politica rivolta di trasformazione dei suoi rinomati agrumi e dei prodotti locali. E’ necessario rispettare l’ambiente, considerandolo come parte dell’essere e dell’uomo che vi opera; rilanciando il concetto di sostenibilità economica e connettendo i borghi e i paesini interni con le “vie del mare”. Il tutto può realizzarsi anche ricollocando a monte la ferrovia jonica e portandola ad efficienza, permettendo, pertanto, ai suoi cittadini di vivere la futura città metropolitana da protagonisti e non da provinciali. Occorre, altresì, riqualificare l’attuale tratta ferroviaria in strada pedonale e ciclabile, attingendo finalmente ai fondi europei per progetti concreti innovativi e identitari.
La Calabria deve riuscire a mettere in rete le sue parassitarie e inutili amministrazioni, al fine di renderle funzionali per la collettività, rilanciando un’edilizia qualificata per il restauro del patrimonio ereditato, risanando le spiagge e mettendo a riparo le coste. Tutto ciò conduce allo sviluppo sostenibile, uno sviluppo che pone alle sue fondamenta il risveglio di beni, cose e memorie che si erano date per perse o mai visitate ma che il mondo, nella sua globalità, richiede ripulite e ben organizzate. Bisogna rispondere a una “domanda” mondiale, che può e deve essere incanalata nell’economia locale, una domanda che si propone di conoscere 5000 anni di storia mediterranea, che solo noi abbiamo il privilegio di avere, ma che ottusamente lasciamo sepolta sotto strati di terra o la abbandoniamo alle forze della natura. E’ evidente la necessità di tutelare le lingue così dette minoritarie, quale il grecanico. Altra risorsa vantaggiosa, che non è sfruttata al meglio, ma ridotta al lumicino, è l’energia solare, quale risorsa naturale e gratuita, che differisce dalla costosa energia fossile. La nostra terra ci offre un clima temperato per la gran parte dell’anno, e potrebbe garantirci un turismo internazionale capace di realizzare un’economia sana e onesta.
Ebbene, tutto ciò è possibile e ogni buon calabrese ne è consapevole, non si può fare a meno dei diritti, peraltro sanciti dalla nostra Costituzione: il diritto al lavoro, alla libertà, alla partecipazione consapevole, allo sviluppo ed al progresso, e non certo ad un’economia assistita. Importante è che al voto il calabrese non si faccia irretire dalle solite mostruose, quanto delittuose promesse, basate sul niente, o sull’illusione di un posto fisso, in cambio di un voto, o meglio di un’espressione di dignità negata. Il passato ha fortemente sbagliato lasciandoci le macerie del presente, si abbia almeno quel residuo di onestà – se ancora ne è rimasta – di liberare il futuro e lasciare la Calabria nelle mani di coloro che la sanno valutare, non sottomettere.
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