Il lavoro che manca e quello che viene meno

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Circolo della Libertà di Lugro

Nei piccoli paesi gli artigiani e gli imprenditori soffrono e non solo per la crisi. Le aspettative, le ambizioni e le incertezze delle piccole imprese nella provincia di Cosenza

Nell’Unione Europea la maggior parte dei posti di lavoro è da ascriversi alle piccole e medie imprese. Esse rivestono un’importanza cruciale per lo sviluppo futuro ma si trovano spesso ad affrontare enormi ostacoli burocratici. Oramai la disoccupazione è diventata l’incubo del nostro tempo, la calamità che affligge i popoli, la peste dei tempi moderni. Il primo articolo della nostra Costituzione afferma che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro. Un principio che spesso è smentito dai fatti, un diritto negato a molti e soprattutto ai giovani, un problema che diventa fonte di preoccupazioni e disperazione. Il lavoro è un dovere ma anche un diritto, di certo è l’unica garanzia che l’uomo ha per vivere un’esistenza libera e dignitosa. Lo stesso vale anche per i piccoli imprenditori e per le tante realtà artigiane presenti sul nostro territorio e che meritano di ricevere una migliore assistenza, per consentire loro di valorizzare appieno le proprie potenzialità sia in termini di crescita sostenibile nel lungo periodo sia di creazione di un maggior numero di posti di lavoro. Il benessere e la crescita delle piccole imprese dislocate nella provincia di Cosenza saranno la chiave per la competitività futura della Calabria. Purtroppo, il mercato da solo non è in grado di offrire finanziamenti sufficienti e a costi adeguati per le piccole realtà economiche, in particolare per quanto concerne le aziende artigiane. Il lavoro degli artigiani, attualmente, forse a causa di una mentalità diffusa, è ritenuto un elemento di classe inferiore e, sfortunatamente, nessuno sembra volersi impegnare con serietà e coraggio per valorizzarlo appieno. Si parte dalla politica per finire alle istituzioni ecclesiastiche, organismi questi ultimi che dovrebbero salvaguardare prima di tutti il benessere morale e sociale dei cittadini, che dovrebbero incoraggiare la bontà e la fratellanza tra gli uomini e le classi sociali, che dovrebbero rappresentare un modello di sincera sussidiarietà. Invece, nelle piccole comunità come quella lungrese, oggigiorno la vita è diventata molto difficile a causa del lavoro che pian piano si sta dissolvendo. Una situazione che diventa ancor più critica da affrontare se quando vi sono delle opportunità, che potrebbero sostenere la debole realtà professionale, chi le detiene non le offre ai propri compaesani o alle imprese dell’hinterland. Ormai la crisi sta aumentando in modo esponenziale, soprattutto nelle nostre zone, e se non si collabora per far fronte a questo disastro sociale e non s’interviene per tempo, allora l’uscita da questo tunnel non avverrà mai. Sarebbe opportuno, ad esempio, che proprio la chiesa locale, in occasione di occasioni lavorative o di appalti si rivolgesse prima alle maestranze locali, così da sostenere l’ormai debole economia locale e risollevare le sorti degli artigiani del proprio paese, professionalità ormai in via d’estinzione. Anche le amministrazioni locali non fanno altro che far fronte ai propri interessi abusando del loro potere e comportandosi come ultimamente sta facendo la chiesa locale. Ormai viviamo in una società in cui i ricchi diventano più ricchi e i poveri ancor più poveri e sembra che non sia possibile progredire per meritocrazia ma solo per raccomandazione. La chiesa e la politica, magari, oltre alle loro prediche quotidiane e ai tanti proclami di trasparenza, dovrebbero cercare di valorizzare e promuovere le professionalità ed il talento, piuttosto che nuocere alla società assegnando lavori e soldi a professionisti esterni alla nostra realtà.

ANTONIO BRANCA

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