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In uscita il libro dal titolo “Zungri. Archeologia di un villaggio rupestre medievale nel territorio di Vibo Valentia” (Roma – Bristol: L’Erma di Bretschneider, 2021), con la prefazione della dottoressa Maria Teresa Iannelli (già direttore archeologo della Soprintendenza Archeologica della Calabria) e la presentazione della prof.ssa Carmela Crescenzi (Università di Firenze).
Questo volume raccoglie i risultati delle ricerche effettuate dalla collaborazione tra Santino Alessandro Cugno, Funzionario Archeologo del Ministero della Cultura e specialista in insediamenti rupestri di epoca medievale, e Rosalba Piserà, archeologa calabrese e disegnatrice, perito esperto in archeologia giudiziaria, entrambi membri del Centro Studi sull’Habitat rupestre di Zungri e della Calabria.
L’area del Monte Poro, in provincia di Vibo Valentia, custodisce una delle più alte concentrazioni di testimonianze rupestri medievali dell’intera Calabria: l’esempio più ragguardevole è sicuramente costituito dalle Grotte degli “Sbariati” di Zungri, un villaggio rurale nato verosimilmente come uno dei casali di pertinenza dell’importante centro di Mesiano, fondazione bizantina nel cui territorio si sviluppa una forma insediativa molto particolare quale quella rupestre. La più antica testimonianza scritta, che attesta l’esistenza di un centro abitato denominato Zungri, risale al 1310: nelle Rationes decimarum, infatti, apprendiamo che un «Presbiter Nicolaus Cappellanus Ecclesie S. Nicolai de Zungri pro secunda decima solvit tar. II».
Il villaggio rupestre di Zungri è noto a livello locale anche come Grotte degli “Sbariati” ed è situato nel versante sud-orientale del colle, dove sorge il moderno centro urbano, su un ampio costone roccioso in una località denominata Fossi, a breve distanza dal tratto della Via Popilia (ab Regio ad Capuam) che collega le pianure di S. Eufemia e di Gioia Tauro. L’area insediativa occupa una superficie di circa 3000 mq ed emerge con un crinale molto ripido sui cui terrazzamenti si distribuiscono circa 40 unità ad uno o più vani, di diverse dimensioni e forma. Esse comprendono abitazioni prevalentemente monolocali (alcune a più piani), impianti produttivi (palmenti, apiari, calcare, ecc), ambienti destinati all’ allevamento degli animali, depositi e/o magazzini, sistemi di vasche e canalizzazioni per l’approvvigionamento idrico.
I recenti studi di carattere archeologico e topografico, editi nel 2021, hanno permesso di censire e analizzare in dettaglio 28 unità rupestri, che mostrano chiaramente le tracce di un continuo reimpiego nel corso del tempo, che ha alterato profondamente la loro fisionomia originaria e ha distrutto i depositi stratigrafici più antichi, mediante la pulitura costante dei piani di calpestio. Per quanto riguarda l’articolato impianto di sfruttamento delle risorse idriche, costituito da vasche a cielo aperto e canalette connesse tra di loro, viene proposto un uso articolato tra la vita quotidiana dell’insediamento e le sue attività produttive, in modo particolare quelle ove era necessaria una elevata disponibilità d’acqua (come, ad esempio, la concia delle pelli, la frollatura del lino o della canapa, la lavorazione della fibra di ginestra, la tintura della lana).
Degna di nota è la diffusa presenza di enormi silos per lo stoccaggio dei cereali, scavati nella nuda roccia e di diversa forma e tipologia (a campana, a sacco, ecc), che sembrano rimandare all’età bizantina o addirittura ad una cronologia più antica. Di conseguenza, in epoca greca e/o bizantina, questo sperone roccioso doveva essere un immenso deposito collettivo per le granaglie, che si producevano nella zona del Poro; soltanto in un secondo momento, probabilmente in una fase inoltrata del Medioevo, quando l’esigenza di concentrare la raccolta del grano venne meno, Zungri prese forma come abitato “strutturato” vero e proprio.
La maggior parte delle unità rupestri testimonia, ancora in tempi molto recenti, il parziale riutilizzo come ripari per gli animali, magazzini e cantine, conglobati in abitazioni preesistenti, oppure come rifugio antiaereo durante la Seconda Guerra Mondiale. Frequenti e visibili sono gli interventi di riadattamento alle varie esigenze che le escavazioni hanno subìto nei secoli, soprattutto in corrispondenza degli interni e degli ingressi, con integrazioni di murature e scale in legno.
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