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Sono passati quarant’anni dalla morte di Adelchi Argada e la sua città ne ha impiegati ben trentasette, e solo grazie ad una appassionata e forse fastidiosa insistenza, prima di rendere ufficialmente visibile il suo nome intitolando ad esso il parco di via S. Bernardette. E’ vero che nel luogo ove Adelchi cadde per mano fascista, i suoi compagni, immediatamente dopo l’accaduto, vollero erigere una stele, opera dell’artista Maurizio Carnevali. Ma non molti sanno che quel monumento, oltre a necessitare oggi di un urgente restauro, risulta ancora formalmente “abusivo”: ciò significa che esso non è parte del patrimonio architettonico della città di Lamezia Terme. Nessuna amministrazione si è mai posta il problema. Un esempio di pressapochismo, superficialità, qualunquismo, del ceto politico e non, dominante a Lamezia come nel resto del paese. Ma è solo una questione di forma? O c’è una sostanza politica concreta che rende tragico il vuoto di memoria e di cultura in cui la città è oggi come impantanata? E quelli tra i suoi abitanti che avevano sognato e lottato per una società senza discriminazioni in cui l’istruzione e il lavoro fossero opportunità di emancipazione e di affermazione sociale? E le centinaia e centinaia dei compagni stessi di Adelchi? E le migliaia di giovani donne e giovani uomini che egli contaminò col suo esempio proletario di generosità e di spontaneità del disarmare una mano armata di pistola? E insomma tutta quella addolorata cittadinanza che partecipò in quelle grigie giornate di ottobre alla più grande manifestazione che Lamezia abbia mai visto e lunedì 20 ottobre, a partire dalle 18:00 in Piazzetta San Domenico, una serata di riflessione politica e di espressione culturale, di riconsiderazione e anche di raccoglimento, con un incontro dibattito con la partecipazione di Cristiano Armati, autore del libro “Cuori Rossi”, reading, microfono aperto, mostre fotografiche, video autoprodotti, raccolta di scritti. Oggi si tratta certamente di riaffermare la memoria di quell’evento e di ribadire il ricordo di un giovane proletario, un giovane antifascista che si batteva per un futuro senza oppressioni e ingiustizie, in cui il comunismo potesse coniugarsi con la libertà. Ma insieme a questo occorre dare un giudizio storico di quell’evento, nel contesto di quella fase in Italia e nel mondo, ma soprattutto nel preciso contesto della Lamezia e della Calabria di quegli anni, con la chiara complicità tra parti deviate dello Stato, l’eversione nera e la ‘ndrangheta. Un capitolo ancora da scrivere sulle coperture locali a gruppi e a singoli neofascisti, durante la Rivolta di Reggio e il tentativo dei boia chi molla anche a Lamezia; e intanto le bombe di Catanzaro e la morte dell’operaio Malacaria, l’attentato al treno di Gioia Tauro, con 6 morti e 66 feriti, i numerosi attentati dinamitardi alle ferrovie. La tolleranza e un cinico lasciar fare ai fascisti vecchi e nuovi fu l’atteggiamento di gran parte dell’area moderata, la DC in testa, in funzione anticomunista e antisindacale, negli anni di conquiste irrinunciabili da parte del movimento operaio e contadino, con l’abbattimento delle gabbie salariali e l’estensione di diritti prima inconcepibili nel Meridione. I governi dell’epoca, sempre più di marca reazionaria, contrastarono duramente con leggi liberticide e con la repressione violenta il dilagante movimento degli studenti che seppe però rispondere con nuove forme di coscienza politica e culturale e con nuove forme organizzate di fare politica, con una nuova unità con le forze del lavoro e grandi battaglie contro la discriminazione di classe, di sesso, di razza.
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