La sentenza
Segnaliamo un’interessante sentenza del Giudice di Pace
di Calabritto (AV), la n. 54 del 2005, in materia di aumento
del canone dell’acqua potabile disposto dal Comune.
Il giudice ha affermato, in primo luogo,
come la Suprema Corte sia costante (Cass. Civ. S.U. n. 10383/93,
n. 10383/99; n. 402/99) “nel ribadire che la controversia
promossa dal privato, utente di acqua pubblica, nei confronti
del Comune, al fine di contestare la debenza del canone di
fornitura d’acqua potabile - ove le questioni sulla
validità ed operatività di atti amministrativi
in materia tariffaria siano state sollevate, non in via principale
per conseguire una pronuncia di annullamento, ma in via meramente
incidentale, senza quindi interferire sul "petitum"
sostanziale in relazione al quale va determinata la giurisdizione
- è devoluta alla cognizione del giudice ordinario,
in quanto attiene a posizione di dare ed avere, aventi natura
di diritto soggettivo, discendenti da un contratto di somministrazione
stipulato su basi paritetiche”.
Nel caso concreto, infatti, non risultava
essere stato impugnato il provvedimento generale di determinazione
delle tariffe, ma il provvedimento concreto, che sulla base
del primo aveva imposto all’attore una certa prestazione
e con ciò ledendo una evidente posizione di diritto
soggettivo.
Origine negoziale del canone
Tanto premesso, il Giudice ha ricordato “che la Suprema
Corte, in tema di canone per l’erogazione dell’acqua
potabile, ha ripetutamente affermato che il corrispondente
credito del Comune non trova titolo nella potestà impositiva,
che la fornitura di acqua ha origine negoziale e che la natura
di corrispettivo contrattuale non viene meno per il fatto
che il relativo ammontare sia soggetto, oltre alle clausole
del relativo rapporto di utenza, alle regole generali fissate
da norme di legge e di regolamento nonché da provvedimenti
amministrativi in tema di predisposizione delle tariffe, trattandosi
di situazione compatibile con il carattere privatistico del
rapporto”.
La determinazione del prezzo dell’acqua
Infine, il Giudice ha ricordato che il prezzo dell’acqua
non è libero ma sottoposto a controllo da parte del
CIPE (provvedimento CIP 26/75; art. 13 L. 36/94, art. 2, comma
3, del d.l. 79/95 e comma 29 dell’art. 31 della legge
448/98, delibera CIPE n. 52/2001, n. 120/2001 e n. 131/2002),
con l’evidente scopo di calmierare gli incrementi annuali
del servizio entro un tetto compatibile con l’inflazione
programmata. In tale contesto vengono di regola consentiti
incrementi ulteriori solo in presenza di due condizioni (alternative):
stato strutturale deficitario dell’ente locale; dimostrazione
di effettuazione di investimenti di miglioramento degli impianti.
Conseguentemente, i provvedimenti variativi delle tariffe
(o canone), disponenti un aumento esagerato e al di fuori
dei limiti fissati, “vanno senz’altro ritenuti
illegittimi perché, in difformità da quanto
disposto dalla suindicata normativa e dalla delibera CIPE
131/02, hanno imposto aumenti oltre i limiti fissati dalla
norma, non sono mai stati trasmessi alla Camera di Commercio
e, pertanto, non ne hanno mai potuto conseguire la prescritta
approvazione né, tantomeno, sono mai stati pubblicati
sul bollettino ufficiale regionale”.
Nella sentenza, tra l’altro, viene
ribadito che “i Comuni, nella gestione del servizio
di distribuzione dell’acqua potabile non possono determinare
il canone –che ha natura di corrispettivo del servizio
reso – sulla base di consumi presuntivi, in quanto possono
richiedere il pagamento solo per l’acqua effettivamente
erogata” (Tribunale Napoli, 21 settembre 2001, in Giurisprudenza
Napoletana 2002, 93) e che “il prezzo della fornitura
deve infatti essere commisurato all’effettivo consumo
e non può essere fissato secondo criteri meramente
presuntivi che prescindano totalmente dalla situazione reale
e si appalesino, pertanto, illogici” (Giudice di Pace
di Castellamare del Golfo del 16.07.2004).
Dott. Mario Petrulli
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