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Primo disco per Mujura (pseudonimo di Stefano Simonetta), musicista e cantautore calabrese che vanta una lunga esperienza al fianco di Eugenio Bennato che ha fortemente sostenuto questo progetto discografico d’esordio e lo ha prodotto con Taranta Power. Il disco Mujura, missato da Jd Foster (Calexico, Marc Ribot, Capossela) e distribuito da Lucky Planets, segna una nuova strada nella dimensione del cantautorato e del folk italiano.
Undici brani, che raccontano in testo e musica, nella forma canzone, un intreccio di mondi diversi. Ci sono elementi presi in prestito dalla musica popolare calabrese, nell’utilizzo di strumenti tradizionali (chitarra battente, tamburello), della lingua (un calabrese ricercato a tratti ostico, ma scelto con un’attenta ricerca sulla componente musicale e ritmica del suo suono) e dei ritmi, che convivono assieme a elementi della musica folk rock contemporanea.
“Quello che mi interessa – dice Mujura – è scrivere canzoni. Per una serie di ragioni anagrafiche e storiche, come la mia frequentazione di ambienti di musica etnica, il mio viaggio nella musica popolare calabrese e in quella del sud con Eugenio Bennato, ho usato nei miei lavori alcuni strumenti e ritmi che provengono dalla tradizione musicale popolare calabrese e la lingua calabrese (non in tutti i brani) che conosco e ho studiato negli anni. Non nasco nell’ambiente della musica popolare, ci sono arrivato seguendo un percorso trasversale e trasversalmente continuo a muovermi in questo mondo. Nel disco, infatti, come citazione di canzone popolare ho usato in modo spregiudicato un canto di malavita”.
Il disco Mujura può essere considerato un concept album sulla Calabria, sulle sue contraddizioni, il suo degrado e le sue degenerazioni sociali. Ma anche su una Calabria sconosciuta, lontana dalle menzogne illusorie da cartolina, dalle esasperazioni di cronaca nera e dai facili e volgari cliché folcloristici. “Ho parlato della Calabria in questo disco – continua Mujura – non come rivendicazione geografica o per motivi campanilistici, ma perché è l’argomento che conosco meglio di altri e sentivo di dover restituire un mondo del quale si hanno notizie parziali, frastagliate e imprecise. Quello dell’abbandono, della deturpazione, della malavita, della lentezza, del familismo e dell’isolazionismo in un mondo veloce e globalizzato”.
Così il mondo calabrese all’interno del disco, viene restituito in un caleidoscopio di immagini che compongono una complessa realtà: la criminalità e la deriva sociale (i brani: A crapa, Sparami, Parti, Sdegnu di carceratu, Mancu li cani), il rapporto col passato e con la cultura popolare (i brani: Ngravachjumbu, Mani chini, Mujura), lo sbarco dei clandestini (il brano Amir), la natura selvaggia, la storia e l’isolazionismo (i brani: Blu, Suli).
E anche l’uso della lingua fa la sua parte. Il dialetto calabrese, nel disco, si fonde con la lingua italiana nei brani A crapa e Mujura e l’italiano con il magrebino come nei brani Amir e Blu, due vere e proprie ballate in cui la voce di Mujura viene accompagnata da quella del cantante marocchino Mohammed El Alaoui, Eugenio Bennato. La ballata e la canzone folk sono intervallate da brani dalla ritmica serrata di tamburelli, percussioni e chitarre elettriche come Sparami, Ngravachjumbu, Mani chini e Sdegnu di carceratu.
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