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QUESTA STORIA DEVE ESSERE RACCONTATA PERCHÉ UCCIDE LA NOSTRA GENTE
«Neanche i cani sporcano la cuccia in cui dormono, ma i mafiosi lo fanno. Da sempre, anche se si riempiono la bocca con parole, come rispetto e onore».
Nella prefazione al volume Avvelenati di Giuseppe Baldessarro e Manuela Iatì, Antonio Nicaso è lapidario nell’esprimere una semplice e fredda verità: il traffico di rifiuti ha sporcato irrimediabilmente il mare e le montagne della Calabria, ed è stato una miniera d’oro per le cosche mafiose e per chi, negli ultimi trent’anni, ha lucrato su di esso. Un affare redditizio, facile, silenzioso e che lascia una lunga scia di morti misteriose e senza colpevoli. C’è un sottile filo rosso, infatti, che lega il mistero delle navi dei veleni al business del nucleare. È quello stesso filo che mette assieme l’affare somalo e l’omicidio di Ilaria Alpi, il centro Enea di Rotondella, la strage di Ustica e la morte del capitano Natale De Grazia. Un altro capitolo dei misteri italiani, nel quale si muovono uomini di ‘ndrangheta, pentiti e trafficanti di armi, loschi figuri e figuranti, faccendieri e pezzi deviati dello Stato.
A sciogliere la fitta trama di questa vicenda è l’inchiesta dei due giornalisti de Il Quotidiano della Calabria e di Sky Tg24, appena pubblicata dalla Città del Sole Edizioni, e che sarà presentata giovedì 6 maggio alle ore 18.00 alla Provincia di Reggio Calabria dal giornalista Giusva Branca. Il volume ripercorre con accuratezza la storia oscura delle navi dei veleni e del traffico di scorie a partire dagli anni 80 fino ad oggi, fino al ritrovamento del relitto di Cetraro dello scorso settembre che ha destato tanto scalpore. Nave dei veleni o piroscafo silurato nel 1917? Tra Regione Calabria e Ministero dell’Ambiente la battaglia si combatte a suon di perizie. A mettere la parola fine sul caso del relitto ritrovato, il rapporto della GEOLAB, pubblicato per la prima volta in questo libro. Ma la storia delle navi dei veleni non può essere chiusa, come qualcuno vorrebbe. Troppi indizi, coincidenze, dichiarazioni, sospetti.
I due giornalisti tracciano un quadro completo dei foschi intrecci, dei vertiginosi giri di denaro, delle connivenze e delle menzogne, fino a fare emergere quello che è apparso agli stessi inquirenti come un “muro di gomma” impermeabile a tutti i tentativi che nei vari anni sono stati fatti per far emergere la verità. Una verità “avvelenata”, sostengono gli autori. Come avvelenata è stata la gente di Calabria, che muore misteriosamente con un’incidenza di tumori fuori dal normale. «Muore – scrivono Baldessarro e Iatì – a causa del veleno che ha infettato la nostra terra, il mare, l’ambiente in cui viviamo. Il gene della morte è già entrato nel nostro sangue e persino nel dna di un popolo che ha molte colpe, non ultima quella di aver chiuso gli occhi. Ma che, non per questo, merita di essere ucciso nel silenzio».
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