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Un lupo mannaro a Samo parte finale, di Francesco Salerno
La notte era fredda e priva di nuvole, tanto che il disco pallido della luna illuminava il mondo con la sua luce d’argento lasciando alle tenebre solo pochi spazi. Era una di quelle notte da ammirare dal proprio balcone mentre si sorseggia una bevanda calda, salvo poi chiudersi in casa e concedersi una buona notte di sonno. Ma non era quel tipo di notte per me.
Io stavo inseguendo un pazzo mezzo nudo per le campagne desertiche di Samo, mentre in cuor mio speravo nell’imminente arrivo della polizia. L’uomo, nonostante la temperatura, correva a spron battuto e anzi l’aria gelida pareva rinvigorirlo sempre più. Attraversammo campi coltivati e distese alberate, vecchi casolari abbandonati e stradine ataviche, prima di giungere nei pressi di uno sperone roccioso che dava dritto sulla fiumara. In basso, il gorgoglio dell’acqua faceva da sottofondo a quella che si annunciava una notte pazzesca.
Giunto sul posto, l’uomo si bloccò di colpo e si voltò verso di me, il viso contorto in una maschera di paura. Io stesso mi bloccai nel vederlo in quello stato, non sapendo bene come agire né cosa dirgli, ma tenendo sempre ben fermo il coltello nella mia mano sinistra.
Per lunghi istanti ci guardammo a vicenda, mentre la fiumara scorreva potente sotto di noi e la luna ci fissava attenta dal sopra le nostre teste. Poi, all’improvviso, l’uomo mi parlò.
“Ti avevo avvertito, dottore. Stasera vedrai la verità. Stasera anche tu saprai. Lui è giunto”
Aprii bocca per chiedere all’uomo di calmarsi e di spiegarmi di cosa stesse parlando, ma non ne ebbi il tempo. Un essere peloso e gigantesco si palesò come dal nulla alle mie spalle e mi scaraventò a terra. In un istante sentii le narici riempirsi di odore di animale e i polmoni svuotarsi a causa del colpo. Non riuscivo a credere a ciò che stavo vedendo, e forse non ci credo ancora, eppure era lì, dinnanzi a me. Una creatura uscita fuori dai meandri più oscuri degli incubi, in grado di annientare ogni certezza o convinzione umana in merito al mondo in cui tutti noi viviamo.
L’essere, dopo avermi fissato per un attimo, mi si lanciò addosso, e io feci l’unica cosa che riuscii a pensare in quel momento. Frapposi il coltello tra me e lui e, senza volerlo, lo colpii dritto alla mano destra, o forse dovrei dire zampa. La lama lo penetrò da parte a parte e la creatura urlò di rabbia e dolore alla luna. Sapevo che non era una ferita mortale, ma il colpo doveva averlo confuso visto che, senza motivo apparente, spostò la sua attenzione da me all’uomo che stavo inseguendo. Con un pensante ringhio si gettò contro l’uomo che, vedendolo arrivare, prese a correre verso il bordo del dirupo. Li persi di vista pochi attimi dopo e, una parte di me, voleva soltanto rimettersi in piedi e fuggire da lì, ma non vi riuscii. Non so cosa mi spinse a farlo ma mi lanciai nuovamente dietro l’uomo. Poco dopo, lo ritrovai. La creatura lo aveva afferrato dalla testa e lo teneva in bilico sul bordo del dirupo. Lo reggeva con una sola mano senza sforzo alcuno. L’uomo, invece, di dimenava e urlava cose senza senso alla luna nella speranza di liberarsi, ma la creatura non glielo permise. In un istante lo lanciò nel vuoto, facendolo piombare per un centinaio di metri sono alle rocce che delimitavano la fiumare. Qui, l’uomo vi si sfracellò.
Fatto ciò, la creatura ululò alla luna e poi si voltò verso di me. Adesso potevo vederla in tutta la sua terribile stazza. Un corpo peloso e muscoloso alto almeno due metri che ricordava lontanamente un lupo e lontanamente un uomo. Un essere sbucato fuori da un romanzo o un film dell’orrore, eppure vivo e vegeto dinnanzi a me. Un vero lupo mannaro.
L’essere mi squadrò da capo a piedi prima di svanire con potenti balzi nella notte. Io me ne restai lì ancora un po’, troppo sconvolto persino per pensare. Venni raggiunto dalla polizia poco dopo, ma ormai non vi era più nulla che potessero fare per me o per l’uomo in fondo al burrone.
Due giorni dopo ero su un treno alla stazione di Bianco in viaggio verso Milano. Un ospedale mi aveva assunto e io dovevo recarmi sul mio nuovo posto del lavoro. Una parte di me era felice di lasciare quella terra, soprattutto dopo gli ultimi tremendi eventi che avevo vissuto. La morte dell’uomo in fondo al burrone era stata descritta come un incidente, la semplice caduta di un uomo confuso e disorientato. Cose che capitano. Io, tra l’altro, non avevo fatto alcuna menzione di ciò che avevo visto. In fondo, chi mi avrebbe mai creduto?
Poco prima che il treno partisse, però, vidi il sindaco di Samo giungere in stazione per salutarmi. Non lo vedevo dalla notte dell’incidente e adesso provavo un po’ di vergogna per non essere passato a vedere come stava. A mo’ di scusa sollevai la mano per salutarlo cordialmente mentre il treno iniziava a muoversi. Il sindaco, sorridente e raggiante, sollevò la mano a sua volta per salutarmi, e fu allora che vidi la fasciatura. Era bianca e gli copriva quasi tutta la mano destra, la stessa mano che avevo trafitto con un coltello al licantropo. Il sorriso scomparve dalla mia faccia mentre collegavo le due cose mentre il suo si faceva sempre più largo.
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