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Di Carmelo Bagnato
Ed il Salvatore disse loro: “… andate per tutto il mondo, predicate il vangelo ad ogni creatura!”. Obbedendo a tale comando, gli apostoli, si avviarono per tutte le terre allora conosciute, predicando in lingua volgare, quella del popolo a cui si rivolgevano. Essendo così differenti i linguaggi nel mondo, a loro fu donato quello delle lingue, per cui potevano esprimersi in qualsiasi idioma. Il dono divino fu permanente e durò in tutto il corso di predicazione, producendo quella stupenda rivoluzione che in pochi decenni debellò gli idoli dell’idolatria sostituendoli con la croce di Cristo.
Agli inizi del cristianesimo risalgono le origini della Messa. Si trattava di una cena, in occasione della quale si riunivano tutti i membri di una comunità cristiana. La cerimonia aveva luogo la sera della domenica, giorno della resurrezione, con lo scopo di far rivivere il banchetto pasquale consumato da Gesù e dagli apostoli la sera precedente la passione. Verso il terzo secolo le comunità cominciarono ad essere coordinate da un gruppo di anziani denominati presbiteri che erano coadiuvati nel compito, da diaconi, soggetti che, non essendo ancora sacerdoti, potevano, in caso di necessità, svolgere determinate funzioni in loro sostituzione.
Quando, dopo le persecuzioni, nel 313 Costantino rese legale il culto cristiano, la nuova immagine pubblica incoraggia la costruzione di splendide chiese e celebrazione di servizi religiosi di grande solennità, e della Messa in particolare. Verso la fine del IV secolo ha inizio l’elevazione delle barriere tra l’altare ed il popolo.
Stante la brevità di questo assunto, ricordiamo soltanto che le più diffuse lingue del cristianesimo nel mondo, erano, la greca, la caldea e la latina. Da sottolineare inoltre, che nè la varietà delle lingue, nè la diversità dei costumi hanno impedito l’osservanza dei medesimi riti e adozione della stessa dottrina.
In occidente e altrove, nell’esercizio della religione cattolica, è con la sola lingua latina che la chiesa celebra il Sacrificio e canta le lodi a Dio. Ed è ribadito che l’unità della chiesa cattolica è favorita dall’uso della lingua latina. E’ quanto emerge anche dalle conclusioni del Concilio di Trento, che, malgrado resistenze, critiche, interferenze politiche, avversità e proteste con scissioni in atto, (durò diciotto anni, dal 1545 al 1563 coinvolgendo tre papi) riuscirà a inculcare nei credenti, per compensare ovviamente la carenza di partecipazione, uno dei più importanti temi discusso nel consesso, la convinzione che, per adempiere al precetto di cattolico praticante, basti la propria presenza nello svolgimento del rito della Messa, non essendo essenziale capire il linguaggio espresso in latino, notoriamente alla portata di pochi, persino nei tempi moderni e contemporanei. La messa in sostanza, consisteva in una serie di atti meccanici e incomprensibili, mentre il celebrante era rivolto verso l’altare, lasciando alle spalle i fedeli. Da molte personalità della cultura (Croce etc.), il pronunciamento finale del Concilio di Trento, è stato definito di inopportuna “chiusura” mentale in netta controtendenza con la “l’apertura” della fase rinascimentale.
Tommaso Campanella nasce a Stilo il 5 settembre 1568, muore a Parigi nel 1639. Con Giordano Bruno e Bernardino Telesio, è considerato uno degli anticipatori della filosofia moderna.
Il suo pensiero è simbolo convenzionale del passaggio tra Medio Evo ed Età Moderna. Per le sue idee in fatto di religione, il tentativo di gettare le basi per una profonda riforma religiosa, è stato più volte inquisito e accusato di eresia, da indurlo a fingersi pazzo per sfuggire al rogo.
A causa del diniego di partecipazione e comprensione della lingua e della simbologia del rito della Messa di quasi la totalità dei presenti alla celebrazione, matura l’ impegno nel Campanella, domenicano, di adoperarsi per l’adozione della lingua del popolo nel linguaggio del luogo di esecuzione della cerimonia religiosa. Ciò in quanto, anche perchè profondamente afflitto per il diffondersi di diffidenze del volgo sul significato di quell’idioma nella funzione stessa, che, peraltro, produceva pretesto e occasione propizia alla speculazione calviniste. Alcuni di tali dubbi, sono espressi dallo stesso filosofo in occasione degli appelli a mons. Ingoli, sperando in qualche ripensamento da parte della chiesa, almeno in misura ridotta.
In una lettera al ricordato mons. Ingoli scrive: “Trattai con alcuni ministri (protestanti) convertiti. Mi dicono che è necessario dire la messa in volgare, perchè li ministri dicono che noi bestemmiamo quando diciamo la messa, e però non volèmo sia intesa. Supplico a V.S.I. che tratti si possa dir latino e volgare insieme nelle ville; poi sentirete il suono”.
Ciò che auspica il Campanella si differenzia parzialmente da quanto adottato dopo cinque secoli, dal Vaticano II, in quanto auspicava che il nuovo rito avesse inizio nelle campagne, nelle ville, dove gli eretici, a causa dell’ignoranza degli abitanti, avevano maggiore possibilità di inserirsi e ingannare la buona fede.
Constatato l’indifferenza della Chiesa, riprende l’argomento con un’altra missiva allo stesso mons. Ingoli, questa volta con annotazioni di carattere psicologico e filosofico: “La plebe crede con verità nè sol per politica; e il più grande intoppo è quello che nascimur iudicati (cioè, predestinati) non iudicandi etc. e l’imagini, e ‘l calice negato ai laici, e l’officio e messe in latino, dove li ministri dicon che bestemmiamo, e però non volemo che si intenda dal popolo. Io promisi ottener queste cose, se con questo prometten farsi cattolici; tutto avviserò per l’altro, e manderò il senso vero di san Tommaso, attissimo a chiarirli”.
Comunque non demorde dal suo proposito, nella convinzione che indispensabile la riforma, ancora nel settembre 1635, allo stesso mons. Ingoli scrive: “Circa le dimande loro,( di quelle persone cioè che il filosofo cercava di convertire alla religione cattolica) io resposi che se gli eretici vònno convertirsi certo concedendoli il calice e lasciando l’imagini per adesso, si può fare. Est in manu sancti pontificis ex concilio tridentino; se no no etc.”.
Ma nonostante l’assunzione dell’incarico di opporsi al dilagare del Luteranesimo e la concessione del papa Urbano VIII di una pensione mensile di 15 scudi mensili, il suo fervido zelo non lo salva dalla non mai cessata persecuzione da parte dei suoi avversari che addirittura, mentre si trovava a Roma fecero di tutto per renderlo inviso persino al pontefice, per cui si allontana trovando rifugio a Parigi, affidandosi alla benevolenza e protezione di Luigi XIII, del cardinale Richeliu e della gloriosa Sorbona, ove cessa di vivere.
Quindi, alla luce dell’attuale celebrazione della messa, dobbiamo pur dare atto, che, anche su questo argomento, il Campanella è stato un anticipatore ed un propugnatore del cambiamento, compiangendo che ciò non sia avvenuto al tempo in cui era già evidente la necessità.
Certo, è trascorso un ben lasso di tempo, ma la provvidenza divina finalmente ha designato il giusto pontefice perchè promuovesse il Concilio Vaticano II e finalmente, da tale consesso “Le norme per l’adattamento all’indole e alle tradizioni dei vari popoli” in cui è stabilito che “… si possa concedere, nelle messe celebrate con partecipazione del popolo, una congrua parte alla lingua volgare…in quanto la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero della fede, ma che partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente. E affinchè il sacrificio della messa raggiunga la sua piena efficacia anche nella forma rituale, il sacro Concilio stabilisce che l’ordinamento rituale della Messa sia riveduto in modo che apparisca più chiaramente la natura specifica delle singole parti e sia più facile la pia e attiva partecipazione dei fedeli”.
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