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Recensione di Marina Crisafi (Pubblicata su Calabria Ora)
«Sono nata il 21 dicembre del 1908. Il mio paese si chiama Racalmuto, si trova all’estremo Meridione della meridionalissima Sicilia. Ho ricordi di fame, di miseria, di caldo, di navi grandi per l’America, e di dolore. Adesso so, ricordo, discerno, e racconto. Mi chiamo Serafina Farrauto, e sono morta di parto». Comincia così «Serafina», prima fatica letteraria dell’autrice Anna Burgio edita dalla reggina Città del Sole.
Serafina, un nome che rievoca quello di un «angelo», è la storia di una donna semplice nata ai primi del ‘900, in un’epoca molto diversa da quella odierna, in una terra che non è quella calabra, eppure così simile e vicina a quella di migliaia delle nostre donne, di ieri e di oggi, nei pensieri e nei tormenti che l’hanno accompagnata nella sua pur breve vita.
Ad accentuare questa vicinanza, è la formula utilizzata dall’autrice, che si fa narratrice e protagonista, calandosi in quell’epoca ed esaltandola per la semplicità ormai perduta, ma non volendosi confondere, perché «ognuno ha un suo tempo e un suo luogo per nascere e questa forse insieme al morire è la principale cosa che non siamo in condizione di scegliere». E quello di Serafina è un tempo difficile.
Un tempo in cui erano necessari sforzi sovrumani per garantire la sopravvivenza. Un tempo in cui la donna era moglie e madre sottomessa, eppure dignitosa, perché dietro una parvenza di supremazia maschile, era lei il vero fulcro del focolare.
Attraverso queste riflessioni, la Burgio dipana il suo memoir lungo la storia: quella della civiltà contadina, scandita dai ritmi delle stagioni e colpita appieno dalla fame, dai terremoti e dalle epidemie; quella delle grandi partenze sui bastimenti diretti ad Ellis Island per inseguire il sogno americano. Ma Serafina è una e tante storie insieme.
Intorno a lei ruotano tutta una serie di personaggi dal vago sapore verista: il padre, il suocero, il marito e soprattutto donne come za Rosina, Amalia, Carmena e, su tutte, la madre, una guida da seguire fino all’ultimo respiro. Un respiro esalato nel 1940, quando la guerra entrava nel vivo portandosi via mariti e figli, e la modernità iniziava a bussare alle porte, cambiando quel piccolo mondo fatto di cose semplici ed essenziali, che Serafina non era destinata a vedere.
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