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di Carmelo Bagnato
Per ovvi motivi, diremmo di stampa, nella titolazione dell’articolo, non riportiamo letteralmente quanto in locuzioni varie ci è pervenuto, riferito all’evento storico del giorno 18 Agosto 1860, a San Lorenzo, sulla proclamazione della dittatura di Giuseppe Garibaldi in sostituzione del governo borbonico dichiarato decaduto, intendendo esprimerci nella sostanza, in considerazione anche dell’auspicato felice esito dell’impresa.
I prodromi dell’evento hanno inizio nello stesso paese allorquando Bruno Rossi, liberale, massonico, nei giorni precedenti si era recato in Sicilia per incontrare Garibaldi e allestire i dispositivi perché i Mille fossero pronti ad attraversare lo stretto e approdare in Calabria. E perché ciò fosse attuabile, erano indispensabili azioni dimostrative da parte del popolo onde giustificare e rendere doveroso l’ intervento, perchè fosse o comunque apparisse “liberatore” assecondando così le esigenze dei rapporti internazionali del Piemonte. Ed infatti, il Rossi, rientrato dall’isola, si reca in Aspromonte, con tanti altri esponenti della provincia, al fine di scegliere il luogo più appropriato, dove stabilire il concentramento dei volontari del territorio, e istituire un collegamento con i garibaldini provenienti dall’isola.
Rientrato da queste missioni, riceve l’invito dal sindaco precedente Giuseppe Curatola, di recarsi a Reggio dall’Intendente Spanò Bolani per prestare giuramento, dovendo assumere egli l’amministrazione del comune. Lui, scrive nelle memorie, si recò a Reggio con il proposito di rifiutare l’incarico, e che poi lo accettò per le insistenze dello stesso Bolani, per non parlare di perentorietà dello stesso. Il rifiuto, da parte sua, era motivato dalla propria posizione politica, che gli impediva ovviamente di assumere cariche in un regime che riteneva tirannico nel mentre si stava prodigando per la sua caduta.
Anche se, l’accettazione come quella di tanti altri nelle sue posizioni, caso emblematico del nuovo sindaco di Melito Antonio Amato, che per le rivolte del 1847/48, era stato condannato a morte per motivi politici, significò più possibilità di lotta contro la stessa monarchia borbonica. Questo, purtroppo, tardivo comportamento del governo napoletano, era frutto della concessione, o meglio, la riedizione resa operativa della Costituzione concessa un tempo dal padre dell’attuale sovrano, e mai applicata.
Quindi ora da sindaco, Bruno Rossi, potendo disporre anche della Guardia Nazionale, anch’essa da poco ricostituita, può camuffare, il reclutamento, tra San Lorenzo e Bagaladi, di circa duecento uomini e con questi ed il sacerdote Pannuti avviarsi verso l’Aspromonte nel luogo predisposto al raduno, già numeroso. Trovarono qui anche i garibaldini scampati, provenienti dal Faro di Messina che avevano tentato di occupare il forte di Altafiumara, e che, non riusciti per diverse impreviste circostanze, inseguiti dai soldati borbonici, trafelati, erano giunti qui congiungendosi agli altri volontari in attesa.
Dopo diverse discussioni per il luogo da scegliere, atto altresì, a contattare il dittatore ancora nell’isola, sconoscendo peraltro ancora il punto ove sarebbe sbarcato, ed escludendo Bova, perché borgo decisamente sconsigliato dal barone Pasquale Nesci, con la spiacevole espressione, “che le rivoluzioni nella nostra provincia non possono riuscire mai, e che il meglio era”, addirittura, “sciogliersi, perché era assolutamente impossibile la proposta di occupare Bova” che chiariva la propria posizione di ardente Murattiano, per cui, evidentemente, poco gradiva il verso preso dagli eventi, si decise per San Lorenzo, proposto e caldeggiato dal suo nuovo sindaco, che oltre la posizione topografica, sosteneva l’amministratore, c’era la possibilità di vitto e alloggio per tutti con tante sue disponibilità, ed era, quindi, il più adatto alle circostanze, essendo anche non lontanissimo dal mare, per una malaugurata ritirata verso l’altra sponda. E’ decisa così la partenza immediata verso questo paese di tutto il contingente, seguito, a poche ore di distanza dal un drappello di bersaglieri comandati dal tenente Golini.
A San Lorenzo sono accolti festosamente, dal decurionato e da tutta la popolazione al suono di tamburo e dalla periferia approdano in piazza ai piedi dell’olmo, plaudendo a Garibaldi.
Qui trovano alloggio presso tutte le famiglie abbienti e personalità del paese, con vitto in abbondanza. Così rifocillati dopo il lungo peregrinare, stanchi e tranquilli possono riposare senza trascurare tuttavia le sentinelle distribuite i tutti i punti possibili di accesso, anche se il Missori, dopo un giro di perlustrazione, soddisfatto, dice che da “quì ci si può difendere anche con le pietre, per almeno un mese”.
Il 18 è il fatidico giorno della riscossa: Il sindaco Bruno Rossi, circondato dal decurionato, a suon di tamburo e con il popolo acclamante, dal balcone del municipio, proclama la caduta del governo borbonico, sostituito dalla dittatura del generale Garibaldi! Era il primo comune del continente ad osare tanto, col pericolo, non remoto, nel caso gli eventi fossero andati diversamente, di subire indicibili rappresaglie.
Ma questo coraggioso e indomito popolo evidentemente era convinto della vittoria, con la speranza che con la garanzia di Garibaldi, molte cose sarebbero cambiate, soprattutto per il ceto che da tempo si nutriva o meglio, sopravviveva con “ festa, farina e forca”, subendo anche le conseguenze cui alla citazione di Ferdinando II :” Più il paese è pezzente e abietto, meglio si governa”. Da non sottovalutare il risvolto politico di questo gesto, col destare nei cittadini consci di essere tali, la consapevolezza che il rischio fa parte della vita che vuole giungere alla valorizzazione di se stessa, e che dal giogo è possibile uscire, poiché l’esercizio del potere in maniera egemonica attraverso la violenza ed il dispotismo, ha il limite che il popolo stesso gli stabilisce.
A tarda sera giunge nel borgo, anche il drappello dei bersaglieri , soffermandosi però all’inizio del paese, forse a Ndilirò, escludendo Zacalaria perché sembra impossibile che quei bersaglieri, da questo luogo, abbiano potuto udire gli applausi della proclamazione, come riferisce il comandante, dal centro del paese, sotto il secolare olmo. Alla notizia giunta da Melito, il 19 successivo, dell’arrivo di Garibaldi, altre emozioni ed altri applausi seguirono, questa volta assaporando meglio i venti di libertà, rinfrancati anche per lo scampato pericolo di vendetta del vecchio regime.
Sulle disposizioni impartite, riportiamo quanto è scritto da Morabito-De Stefano,in pag. 85, nota 10:” In quanto alle circolari mandate dal Musolino in tutte le città e borgate furono spedite da San Lorenzo e non da Pedavoli come lo attesta il documento pubblicato”. E’ inspiegabile come sia stato possibile tale errore, considerato che Pedavoli è ricordato semplicemente, oltre che per il pranzo offerto dal sindaco ai Garibaldini e dopo qualche giorno ai soldati borbonici, per l’assassinio e decapitazione di Domenico Romeo di Santo Stefano,da parte del capo urbano Carbone.
Segue la partenza per Melito, per congiungersi all’eroe e proseguire alla conquista di Reggio, ove Garibaldi trionfante entra montando il cavallo di Bruno Rossi. Questo cavallo è immortalato da un dipinto del famoso pittore e patriota Benassai, che trovasi nel Municipio del nostro amato paese, San Lorenzo.
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