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di Don Giovanni Zampaglione
“Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
+ Dal Vangelo secondo Luca 18, 9-14
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che presumevano di esser giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: O Dio, ti ringrazio che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri , e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo.
Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: O Dio, abbi pietà di me peccatore.
Io vi dico: questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Parola del Signore
Meditazione
Eppure: se non riusciamo, quotidianamente, a trovare uno spazio, seppur piccolo, di preghiera ed interiorità, non riusciremo a conservare la fede. Non bisogna scoraggiarsi, questo diceva la Parola di domenica scorsa. La preghiera è una questione di fede: credere che il Dio che invochiamo non è una specie di sommo organizzatore dell’universo che, se corrotto, potrebbe anche concederci ciò che chiediamo. Dio non è un potente da blandire, non un sottosegretario da cui farsi raccomandare, ma un padre che sa ciò di cui abbiamo bisogno. Se la nostra preghiera fa cilecca, sembra suggerirci Gesù, è perché manca l’insistenza, o manca la fede.
Oggi, con l’acida parabola del pubblicano e del fariseo, ci viene suggerita un’altra pista di riflessione.
Il fariseo e l’ingombro del cuore
Spezzo anzitutto una lancia in favore del fariseo, troppo spesso caricaturato dai vangeli. I farisei erano devoti alla legge, cercavano di contrastare il generale rilassamento del popolo di Israele, osservando con scrupolo ogni piccolissima direttiva della legge di Dio. L’elenco che il fariseo fa’, di fronte a Dio, è corretto: per zelo il fariseo paga la decima parte dei suoi introiti, non soltanto, come tutti. Qual è, allora il problema del fariseo?
Semplice, dice Gesù è talmente pieno della sua nuova e scintillante identità spirituale, talmente consapevole della sua bravura, talmente riempito del suo ego (quello spirituale, il più difficile da superare), che Dio non sa proprio dove mettersi.
Questo è il nocciolo della questione: avviene che ci mettiamo – sul serio! – alla ricerca di Dio. Desideriamo profondamente conoscerlo, diventare discepoli, ma non riusciamo a creare uno spazio interiore sufficiente perché egli possa manifestarsi. Con la testa e il cuore ingombri di preoccupazioni, di desideri, di pensieri, concretamente non riusciamo a fargli spazio. Oppure accade che, dopo un’esperienza fulminante, che so, un ritiro, un pellegrinaggio, sentiamo forte la sua presenza, ma, una volta tornati a casa, la nostra testa viene riempita dalle preoccupazioni di questo mondo.
Non è solo il problema dell’orgoglio, no. E’ proprio una complicazione dell’esistere, una vita che non riesce ad uscir fuori dal buco nero in cui si è infilata.
Suggerimenti da pubblicano
Se non riesco a ritagliare nella mia giornata una mezz’ora di assoluto relax, di vuoto mentale, magari dopo una bella corsetta, o cose del genere, se non faccio silenzio intorno (spengo TV, stacco il cellulare), se non prevedo, almeno d’ogni tanto, una pausa di una giornata non passata, al solito, in coda in autostrada per andare a riposare (sic!), farò fatica a trovare un luogo in cui Dio sta. Il pubblicano, invece, di spazio ne ha tanto.
Il denaro che ha guadagnato con disonestà, l’odio dei suoi concittadini, l’impressione di avere fallito le sue scelte, creano un vuoto dentro di lui, un vuoto che Dio saprà riempire. Consapevole dei suoi limiti, li affida al Signore, chiede con verità e dolore, che Dio lo perdoni. E così accade. Il Vangelo di oggi ci ammonisce a lasciare un po’ di spazio al Signore, a non presumere, a non pretendere, a non passare il tempo a elencare le nostre virtù. Siamo tutti nudi di fronte a Dio, tutti mendicanti.
Ancora una volta, il Signore chiede a ciascuno di noi l’autenticità, la capacità di presentarci di fronte a lui senza ruoli, senza maschere, senza paranoie.
E soprattutto: nella nostra attività orante siamo soliti considerare noi stessi davanti a Dio, sempre e comunque, come peccatori?
Poiché infatti è cosa certa che la preghiera autentica e sincera si realizza sempre esternando a Dio il proprio peccato, non omettendo la richiesta di perdono per le nostre colpe e proponendoci di riqualificare sempre la nostra vita e se ci facciamo caso non vi è Santo oggi venerato sugli altari che non abbia pregato definendo se stesso peccatore davanti a Dio.
Esercitare così l’umiltà manifestando la propria debolezza al Signore conduce a vincere l’orgoglio e a rendere più genuina la nostra preghiera scongiurando il pericolo che giudichiamo gli altri e ottenendo il miglioramento di noi stessi; non per niente Gesù giustifica il pubblicano che, contrariamente al vicino fariseo, si batte il petto in preda al panico per i continui peccati commessi e tale confessione è garanzia che egli uscendo dal tempio possa impegnarsi nel ravvedimento di vita.
Sarebbe allora suggeribile che si preghi sempre con umiltà predisposta e con cuore libero da arroganti presunzioni e che quando si chieda a qualcun altro di pregare per noi si scelgano persone veramente umili, mansuete e ben disposte a cui affidare questo servizio, poiché è certo che la loro orazione si eleverà a Dio “penetrando le nubi”.
Questa è la condizione per ottenere, come il pubblicano, la conversione del cuore. Amen
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