Poesia: Racconto

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di Pietro Pancamo

I: in casa, di sera.
Dalla finestra aperta
mi prende ancora
a ditate nel cervello
questo calore in maniche di luna,
che mi costringe sempre
a sentirmi male.
Tanto male:
un concerto di cicale
il silenzio
che si sgretola nel muro.

II: fuori, di notte.
Ma penso ai ricordi:
lo so che migrano
suscitando lo spazio.
Anche esterno.
Così almeno posso uscire.
Infatti eccomi:
vado a camminare.

E passeggiando zoppo
fra lune di tempo,
trovo un angolo d’ombra
come uno spiraglio di stanchezza.
Il sonno batte nel cervello
come un altro cuore doloroso:
e alla fine
mi riporta il silenzio
che,
riflesso dai torsi lucidi delle finestre,
sembra una fessura acuminata.
La attraverso ferendomi tanto
e, insanguinato di graffi,
(graffiato di sangue)
emergo nuovamente
ai vetri di un ricordo.
Mi affaccio.

Se guardo davvero a lungo,
poi riconoscerò nell’aria del mattino

(le campane, non per me,
sono l’alba
popolata di prime ore)

i detriti del mio semplice destino.

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