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di Giuseppina Sapone
Sembra anticipare la primavera, e l’estate con le sue lunghe serate in piazza, il concerto dato dai Tarantproject in questi giorni a Lione, nel sud della Francia. Sfida impossibile quella di presentare, far conoscere e amare anche ai non autoctoni la musica popolare calabrese? No, sfida intrapresa e quasi vinta quella di Mimmo Cavallaro e Cosimo Papandrea, le due colonne portanti della tarantella nostrana.
Dopo aver conquistato ogni singola piazza di paese della Locride e della Jonica, i Taranproject si sono fatti apprezzare nel resto della Calabria, nella Capitale, nella verde Lombardia e ora in Francia. Proprio in questi giorni hanno presentato anche in terra straniera la loro raccolta di successi nuovi e vecchi, un cd dal titolo “Jhuri di jhumari”, cioè “Fiori di fiumara”, riscuotendo il solito successo di pubblico e di consensi.
Pienone nelle piazze di paese, e pienone anche ai concerti dati in giro per l’Italia e l’Europa. I fan accorrono da tutta Italia, e moltissimi sono gli emigrati che non perdono l’occasione di risentire i suoni della loro terra e scatenarsi nell’indiavolato ballo della tarantella.
Ma se i calabresi – si sa – il ballo ce l’hanno nel sangue e volentieri si lasciano pizzicare dalla tarantola, nemmeno gli autoctoni si salvano: che siano francesi, che siano romani de Roma oppure lumbard veraci, tutti si lasciano contagiare dal ritmo dei tamburelli, dell’amatissima lira calabrese e dell’organetto, e si lasciano trasportare dai ballerini al seguito del gruppo nel ballo più contagioso che esista.
Ballano sulle note di canzoni come “Passa lu mari”, dedicata ai migranti che arrivano da noi e che in quel di Locri vengono accolti e restituiti alla dignità, “Laroggiu d’amuri”, ballata che prende spunto dalle strofe orali tramandate dalla tradizione popolare, “Santu Roccu”, in onore del Santo protettore della Jonica, “Ninna Nanna”, cantata dalla dolce voce dell’unica cantante donna del gruppo, Giovanna Scarfò, e dedicata con commozione sempre viva ai bambini che giungono da Paesi in guerra, “U salutu”, che contiene, celato ma non troppo, un inno alla rivolta contro i padroni, tema caro alla poesia popolare, e infine chiudono allegramente “in rota” con due ballate di Papandrea: una d’amore, “Citula d’argentu”, e un’altra, irresistibile e coinvolgente: “Pizzicarella” .
E adesso che la strada di Sanremo è aperta anche alle composizioni dialettali, auguriamoci che i Taranproject portino in competizione sul palco più bello d’Italia un pezzo della nostra terra e della nostra musica.
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