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Di Mario Nirta
E nel mio sogno io ritornai bambino laggiù a Cannuli, dove gracidavano le rane e mute tra i canneti nidificavano le folaghe. E dolci, nella vallata, ai leggeri soffi del vento, le fave sembravano un ondeggiante mare verde, accarezzato dalle rondini che garrivano quasi a salutare il sole ormai vicino al tramonto.
Poi mi ritrovai all’asilo vecchio a giocare con altri bambini, molti dei quali, purtroppo, se li chiamo non mi rispondono più. Posai su un muro a secco l’elica di ferula, che m’ero costruita il giorno prima, ed entrai nel gioco: “Uno a le monti, due il bue, tre la figlia del re … Ed ero felice come solo i bambini che non hanno niente sanno essere felici. Al vespro suonò la campana, i contadini nei campi si tolsero il berretto ed elevarono la solita preghiera al cielo, e un ragazzino, facendosi il segno della croce, avvertì: “A stiglia i Bettelemmi”.
Da dietro Farnia sorgeva Venere, che per noi bambini era la prima stella della sera. E non poteva essere che la stella di Betlemme che per prima aveva salutato il Salvatore alla sua nascita.
Cominciava ad avanzare il crepuscolo e già dal Petto alla Costiera, dalla Croce alla Chiesiola, era tutto un vociare di mamme “Micare’, Peppare’, Ntonice’” e sempre la stessa risposta: “Oh ma’, no gridati ca ora vegnu”. …Scendeva la sera sulla vallata e dal mare la luna rossa pareva essere spuntata apposta per augurare la buonanotte al mio paese. E poi fu l’ora dei grilli.
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