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Non avevo mai preso sul serio gli esami di maturità, ma ne ho preteso addirittura l’abolizione da quando un anno vidi in una strada di Locri un poveraccio con un foglio in mano scappare come un siluro, inseguito da una canea urlante: “Aspettate, aspettate”. Mai vidi uomo più atterrito tanto che pensai subito ad un tentativo di linciaggio pure perché, nel voltarsi saltuariamente indietro, il poveretto, alla vista della marea umana che lo braccava, riprendeva a correre come un calabrone impazzito. Non aveva fatto nulla di male povero sventurato, se non che essere stato tanto avventato da afferrare per primo la traccia “caduta” dalla finestra d’un liceo. Alla fine, stremato, e ringraziando Dio d’averla scampata, si rifugiò in portone passando il foglio ad un amico. Il quale decollò a missile, irruppe in una tabaccheria e, con il poco fiato ancora rimastogli, rantolò allo sbalordito tabaccaio di preparargli varie fotocopie che le persone afferravano riscappando di corsa e dimenticando, da buoni italiani, di pagare.
Sempre vociante, la folla ritornò nel cortile della scuola ed iniziò la seconda parte della farsa quando un uomo lanciò il compito urlando al ragazzo che l’aveva preso di passarlo a Filippo. Purtroppo per lui il ragazzo, dopo averne letto qualche rigo, gli urlò che l’avrebbe tenuto per sé mentre a Filippo avrebbe passato un qualcosa che poca attinenza aveva con la traccia e che la decenza mi vieta di riferire.
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