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Piaccia o no ai cantori del Risorgimento, la rovina del Meridione è dovuta all’unità d’Italia con il conseguente arrivo dei piemontardi che ci privarono di tutto, dai cantieri navali ai soldi di Franceschiello. Con questi soldi, per non parlare d’altro, il Nord ampliò la sua rete ferroviaria e la differenza fra Settentrione e Meridione s’avviò a diventare incolmabile.
Accertato questo, i giornalisti del Settentrione farebbero bene, prima di sputare sentenze, ad esaminare i presupposti storici della nostra scoraggiante condizione attuale: siamo stati, e siamo, costretti per sopravvivere a barcamenarci. Tutto qua. E ci arrangiamo. E che altro possiamo fare? Derubati di tutto, persino della storia e delle memorie dagli occupanti piemontardi, truffati con i plebisciti, mortificati anche nelle minime aspirazioni, ci è stato dato solo permesso di degradarci a carne da macello per uno stato nemico qual era per noi l’Italia.
Estrapolo dal libro di Totò Delfino “Amo l’Aspromonte”, un pezzo del tedesco Zimmermann: “Nei primi nove mesi del 1861 il nuovo Stato italiano ha distrutto quattordici paesi, centinaia di fattorie e 20.000 uomini. Ciò è stato sempre tenuto segreto. Il nuovo Stato aveva mezzi propagandistici che i briganti non avevano e così erano dipinti come mostri umani. I briganti avevano le armi, ma con queste non potevano combattere contro le bugie dei giornalisti …”.
“Nessun linguaggio umano – rifletteva un sopravvissuto di Hiroshima – può esprimere il dolore delle cavie che non sanno il perché della loro morte”. E noi siamo state le cavie del Regno d’Italia. E se i nostri uomini fucilati, le nostre donne violentate ed i nostri bambini trucidati non reclamano più vendetta, pretendono di certo la pietà ed i riconoscimenti dovuti a chi è morto senza sapere il perché della propria morte.
Ecco da dove è nata la mafia: dalla necessità di sfuggire al canagliume di Cialdini che oggi si presenta sotto altre spoglie. Quindi la malavita, cari giornalisti del Nord, è figlia vostra, non nostra. La faida è longobarda, non calabrese. D’accordo, quella che si scatenò dalle nostre parti dal 1860 in poi fu una guerra feroce, combattuta senza esclusione di colpi dall’una e dall’altra parte, ma siamo onesti: chi l’ha cominciata? Quindi, amici del Nord, non venite a dirmi che la mafia esiste solo da noi, perché allora il discorso diventa fazioso. Non vestite i panni, che tra l’altro vi vanno stretti, del censore per impartirci lezioni di moralità: voi non ne avete i requisiti, e noi non ne abbiamo bisogno.
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