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Recensione di Marina Crisafi (Pubblicata su Calabria Ora)
Fascicoli impolverati nello studio di un vecchio cronista e un jack daniel’s per pensare a come dipanare la trama di quelle pagine di storia. È questo l’incipit di “Malandrini”, il libro di Arcangelo Badolati, autore palmese e redattore della Gazzetta del Sud.
E la storia, anzi le storie sono quelle del vecchio volto della ‘ndrangheta, all’alba delle bionde, degli appalti e della “polverina”, eppure già società organizzata con i suoi codici e rituali. Così l’autore si muove tra le regole e la mentalità di un Antistato vissuto come unico Stato, con il suo “albero della scienza”, fatto di fusti, rami, fiori e foglie cadute, ammantato dalla fede nei cavalieri spagnoli del “battesimo”, Osso, Mastrosso e Carcagnosso.
E sullo sfondo i personaggi reali, ognuno col suo nome di battaglia. Il “re dell’Aspromonte”, il “lupo di Castellace”, il “leone di Drosi”, il “mostro di Presinaci”, assassini per vendetta o per abitudine.
E ancora la “primula di Rizziconi”, il Provenzano calabrese che dopo 42 anni di latitanza, si fece trovare il giorno prima di morire. Poi entrano in scena i “mammasantissima”: don Mommo Piromalli, l’unico che “moriu ‘nto so lettu comu e grandi”, Mico Tripodo e Zi ‘Ntoni Macrì, capobastoni di Sambatello e di Siderno, entrambi eliminati per consentire l’ascesa dei “regnanti di Archi”, i fratelli De Stefano, protagonisti del cambiamento di pelle: la feroce trasformazione in una holding che avrebbe riempito le “bacinelle” delle ‘ndrine dei proventi dei business delle grandi opere, del narcotraffico, delle armi. Fino alla cruenta guerra tra cosche e alla pax mafiosa suggellata dai boss americani e siciliani.
E poi le “malandrine”: Femia e Peppina a Nira che, animata dalla disperazione di madre, non ebbe paura di sfidare i killer dei suoi due figli. “Fosse stata un uomo li avrebbe probabilmente fatti fuori, ma era una donna, per giunta senza marito, e decise di ricorrere alla giustizia” scrive l’autore, calando anche lei nella logica di un sistema invincibile i cui segreti riti vengono svelati nel finale, all’ombra di un caffè, dal vecchio boss Zi Micu, accrescendo la consapevolezza che “la ‘ndrangheta è sempre stata una strada senza ritorno. Un salto nel nulla. Un viaggio in un mondo oscuro pieno di regole che nessuno ha mai veramente conosciuto”.
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