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Tre diversi ambienti influirono sulla formazione psicologica e culturale di Pirandello: quello siciliano, quello tedesco e quello romano.
In Sicilia Pirandello visse dalla nascita, avvenuta ad Agrigento il 28 Giugno 1867, fino al 1887, anno in cui si trasferì a Roma per continuare gli studi universitari. In Germania Pirandello soggiornò dal 1889 al 1891, conseguendo a Bonn la laurea in filologia romanza. Tornato da Bonn e stabilitosi di nuovo a Roma, Pirandello dedicò la propria vita alla letteratura e al teatro. Morì a Roma il 10 Dicembre 1936, due anni dopo aver ricevuto il premio Nobel per la letteratura.
La cultura letteraria, filosofica e psicologica.
Possiamo dividere il processo evolutivo del pensiero Pirandelliano in due grandi fasi: quella prima della stesura del Fu Mattia Pascal (1904) e quella successiva, caratterizzata da un radicale cambiamento della concezione letteraria.
Nella prima fase Pirandello subisce l’influenza del pensiero positivista, assimilato però nella variante negativa tipica del Naturalismo siciliano: la scienza non è concepita ottimisticamente, come una ragione di speranza e di progresso, ma sentita come una potenza demistificatrice, capace di corrodere miti e credenze. Dopo essere passato dall’oggettivismo positivista al soggettivismo e dopo le letture di Nietzsche e Schopenhauer, Pirandello si trova di fronte a una grossa contraddizione: da un lato subisce l’influenza della tradizione idealistica e classica, che privilegia nell’arte il momento sintetico e armonico; dall’altro, invece, l’influenza di autori tedeschi come Heine, Tieck e Chamisso, che puntano sull’uso ironico del materiale romantico, sulla pluralità dell’io e su un razionalismo fortemente umoristico.
E’ proprio dopo questo primo periodo di incertezza che Pirandello raggiunge la sua maturità filosofico-letteraria. Non a caso in questi anni (1904-1908) egli scrive le due premesse del Fu Mattia Pascal, e da vita, cosa più importante, a un vero e proprio saggio della poetica umoristica intitolato appunto “L’Umorismo”: da un lato Pirandello vede un limite ontologico dell’uomo, che da sempre vive in un mondo privo di senso e che tuttavia si crea una serie di autoinganni e di illusioni attraverso i quali cerca di dare significato all’esistenza; dall’altro individua nella caduta dell’antropocentrismo tolemaico, la nascita di quel malessere, tipico della modernità, che induce alla percezione della relatività di ogni fede, di ogni valore, di ogni ideologia e all’intuizione che quest’ ultime sono solo autoinganni, utili per sopravvivere ma del tutto mistificatori (crisi delle ideologie ottocentesche).
L’umorismo pirandelliano non è solo una poetica: è anche l’espressione coerente del pensiero e della cultura del relativismo filosofico.
Esso presuppone la messa in discussione sia del positivismo, sia delle ideologie romantiche. Entrano in crisi tanto l’oggettività quanto la soggettività, ed è il concetto stesso di verità che viene posto radicalmente in questione. Perciò l’umorismo non propone né valori, né eroi che ne siano portatori, ma un atteggiamento esclusivamente critico-negativo e personaggi problematici e inetti nell’azione pratica; esso non risolve positivamente le questioni che affliggono l’uomo, ma mette in rilievo le contraddizioni e le miserie della vita, irridendo e compatendo allo stesso tempo.
Contrasto vita-forma e persona-personaggio:
L’uomo ha bisogno di autoinganni: deve cioè credere che la vita abbia un senso e perciò organizza l’esistenza secondo convenzioni, riti, istituzioni che devono rafforzare in lui tale illusione. Gli autoinganni individuali e sociali costituiscono la forma dell’esistenza: essa è data dagli ideali che ci poniamo, dalle leggi civili, dal meccanismo stesso della vita associata. La forma blocca la spinta anarchica delle pulsioni vitali, la tendenza a vivere momento per momento al di fuori di ogni scopo ideale e di ogni legge civile: essa cristallizza e paralizza la vita. Quest’ultima è una forza profonda e oscura che fermenta sotto la forma ma che riesce a erompere solo saltuariamente nei momenti di sosta o malattia, di notte o negli intervalli in cui non siamo coinvolti nel meccanismo dell’esistenza.
Il contrasto tra vita e forma è indubbiamente costitutivo dell’arte pirandelliana e della stessa poetica dell’umorismo, che sottolinea ironicamente i modi con cui la forma reprime la vita e rivela gli autoinganni con cui il soggetto si difende dalla forza sconvolgente dei bisogni vitali. Il soggetto, costretto a vivere nella forma, non è più una persona integra, coerente e compatta, fondata sulla corrispondenza armonica fra desideri e realizzazione, passioni e ragione, ma si riduce a un personaggio che recita la parte che la società esige da lui e che egli stesso si impone attraverso i propri ideali morali. Nel caso che il soggetto diventi consapevole delle contraddizioni, delle ipocrisie e degli autoinganni a cui si deve sottoporre, allora sceglierà di vivere la propria vita non più soggetto alla forma, ma bensì vivrà amaramente e autoironicamente la scissione tra essa e la vita. In questo caso la riflessione interviene continuamente a porre una distanza fra il soggetto e i propri gesti, fra l’uomo e la vita: più che vivere, il personaggio “si guarda vivere”e si pone fuori dall’esperienza vitale; condannato all’estraneità, guarda da fuori e compatisce non solo gli altri ma se stesso.
Le Opere:
“Si gira …”: Protagonista di questo romanzo è Serafino Gubbio, operatore cinematografico della Kosmograph. In seguito a un incidente durante le riprese, Serafino, per lo shock, diventa muto. Pirandello in quest’opera fa un bilancio della vita del protagonista e un’analisi impietosa della civiltà delle macchine. Da un lato, il bilancio esistenziale si conclude con la caduta di qualsiasi illusione e con la riduzione del protagonista a una totale impassibilità ed estraneità, resa allegoricamente dal suo mutismo; dall’altro, lo studio della modernità induce a un rifiuto drastico dei miti della macchina e del progresso, in implicita polemica con il Futurismo.
Questi due temi fondamentali sono inseriti in una struttura aperta e sperimentale (quella dei quaderni), ricca di anticipazioni, di ritorni all’indietro, di racconti nel racconto: una struttura che dà congedo definitivo a un impianto narrativo di tipo tradizionale.
“Uno, nessuno e centomila”: Come il Fu Mattia Pascal, è una narrazione retrospettiva condotta da una prima persona che è insieme voce narrante e protagonista della vicenda. Il protagonista è Vitangelo Moscarda, figlio scioperato di un banchiere.
Egli ha molti punti di contatto con la figura di Mattia Pascal: è un inetto, uno scioperato, una nullità, si è sposato per imposizione e come Pascal, conduce una ribellione. Ma, mentre nel Fu Mattia Pascal il personaggio tenta la propria affermazione e cerca la propria identità in modo passivo, casuale e quasi inconsapevole, qui si fa protagonista attivo e cosciente della propria liberazione. Invece di estraniarsi dalla vita e arroccarsi in un atteggiamento critico-negativo, come fanno Pascal e Serafino Gubbio, Vitangelo Moscarda alla fine scopre la vita nel rifiuto della forma e nell’adesione all’istinto naturale. La contrapposizione alla civiltà delle macchine e delle città industriali e fortissima anche in questo romanzo, ma questa volta si fa appello a un alternativa positiva, quella della campagna e della natura. In definitiva la conclusione del romanzo vuole essere paradossalmente positiva. A una struttura aperta e umoristica segue una conclusione “chiusa”, che vuole indicare un percorso di guarigione attraverso una fuoriuscita dalla forma per entrare nella vita, dalla società per entrare nella natura.
Novelle per un anno: Dal 1922 Pirandello pensò di riunire tutti i suoi racconti sotto il titolo di Novelle per un anno, suddividendoli in 24 volumi contenenti 15 novelle ciascuno, per un totale di 360, all’incirca una per ogni giorno dell’anno. In questa prospettiva corresse e riordinò le novelle estraendole dalle originarie raccolte e inserendole in nuove unità organizzative. L’opera comunque, presenta una struttura enigmatica: l’autore ha smembrato le vecchie unità organizzative per crearne di nuove, ma resta misterioso il criterio con cui le ha formate. L’opera insomma è un’allegoria della dissipazione e della varietà della vita, del suo carattere frantumato e insensato, in cui domina incontrastato il flusso distruttivo del tempo. Quest’ultimo è vissuto come dissipazione, vortice, caos, non come processo rettilineo, ordinato e lineare. Personaggi, vicende e paesaggi sono immersi nella caducità caotica e casuale della vita.
Possiamo indicare i seguenti criteri complessivi delle Novelle per un anno:
1) L’uso mimetico e tuttavia critico.negativo e dissacrante del linguaggio: Pirandello rivela un estrema attenzione nel rendere realisticamente i segni di una comunità, i modi e la mimica con cui si riconosce un corpo sociale. La critica e la rottura delle convenzioni passano attraverso l’accettazione piena del linguaggio, che così viene portato fino all’assurdo mostrandone l’interna contraddizione e l’intrinseca paradossalità.
2) L’isolamento espressionistico della parte rispetto al tutto: La tecnica della “zoomata” è frequente in Pirandello. Il particolare, ripreso da vicino e staccato dal resto, diventa mostruoso. Come negli autori espressionisti, il mondo non ha più ordine né gerarchia. La parte è ormai tagliata via da un tutto imprendibile e sfuggente e dunque da qualsiasi possibilità di significato.
3) Il paesaggio e la sua disarmonia rispetto all’uomo: Nelle novelle il paesaggio è il distaccato e talora ironico scenario delle sventure umane. Fra natura e società si è aperta una frattura incolmabile che rende impossibili le corrispondenze simboliche tra l’una e l’altra: persino il paesaggio-stato d’animo, quando s’affaccia, può essere irriso.
4) Il rapporto tra nichilismo e ricerca della verità: Nelle novelle Pirandello porta a fondo la critica all’idea stessa di verità, sia essa concepita in termini positivistici (la verità garantita dalla scienza), o in termini idealistico-religiosi (la verità garantita dal dogma di una fede o di un’ideologia). L’affermazione del carattere relativo di ogni opinione sfiora in Pirandello il nichilismo.
Gli scritti teatrali e le prime opere drammatiche: La fase del “Grottesco”
Pirandello comincia a dedicarsi al teatro con un certo impegno solo a partire dal 1910, e solo dal 1915 lavora in modo continuato a opere teatrali, pur persistendo a considerare questa attività solo una parentesi. La scelta teatrale diventa irreversibile solo fra il 1920 e il 1921, in seguito anche al successo di Sei personaggi in cerca d’autore.
La contraddizione fra teatro e letteratura viene risolta da Pirandello lavorando in due direzioni: 1) elaborando la teoria dell’autonomia dei personaggi dall’autore e 2) accentuando l’aspetto autocritico e dissacrante del lavoro artistico-teatrale.
Pirandello sottolinea che l’opera teatrale deve diventare beffa e parodia di se stessa. L’opera teatrale umoristica deve rinunciare a mostrarsi come “naturale” e deve invece sdoppiarsi, ostentando la propria artificiosità e divenendo, come dice Pirandello, “farsa che include nella stessa rappresentazione della tragedia la parodia e la caricatura di essa, non come elementi soprammessi, bensì come proiezione d’ombra del suo stesso corpo”: nasce così il teatro nel teatro.
“Così è se vi pare”: Con quest’opera Pirandello introduce il tema della doppia verità, o meglio, dell’inconsistenza della verità oggettiva, preferendo analizzare i contrasti delle verità “soggettive” ben più determinanti e opprimenti.
La vicenda si svolge nel solito ambiente di provincia (Valdana) dove arriva un segretario di prefettura che tiene segregata la moglie dalla suocera. Invano i concittadini cercano di appurare la vera identità della signora Ponza (i documenti anagrafici sono stati distrutti in un terremoto): il marito e la suocera, separatamente, si accusano di pazzia e sostengono una tesi assurda: che essa sia contemporaneamente la figlia della signora Frola (e prima moglie,Lina) e la seconda moglie del signor Ponza, Giulia, ciò che obbiettivamente non è possibile, ma soggettivamente corrisponde alle idee contrastanti dei due. “Per me io sono colei che mi si crede”, conclude amaramente la signora, cioè “nessuna”. Sono annunciati, così, i temi della verità relativa, della solitudine umana, dell’incomunicabilità, della pietà.
“Sei personaggi in cerca d’autore”: Il dramma è l’esempio più radicale di “teatro nel teatro” di Pirandello.
Mentre una compagnia di attori sta provando il pirandelliano “Gioco delle parti”, irrompono sulla scena sei personaggi, ciascuno per presentare il proprio dramma che l’autore, dopo averlo immaginato, si è rifiutato di realizzare in forma compiuta.
L’intreccio della vicenda viene ricostruito frammentariamente in qualche modo dagli interventi dei sei personaggi, con anticipazioni, digressioni, regressioni, contestazioni reciproche e discussioni violente, il tutto in un crescendo di concitazione.
Con quest’opera Pirandello vuole dimostrare che il dramma borghese è irrappresentabile e che l’arte stessa è incapace di cogliere il significato della vita. La svolta è costituita dal raggiungimento di entrambi gli obbiettivi impliciti nella ricerca teorica di Pirandello sul teatro: l’autonomia piena dei personaggi dall’autore e la dissacrazione del momento artistico. L’autonomia dei personaggi è tale che essi sono addirittura portati sulla scena “in cerca d’autore” ciascuno con la sua verità in opposizione a quella degli altri, e in assenza, appunto, di un autore, capace di dare unità di senso alla loro vicenda. La dissacrazione giunge sino alla esibizione e alla messa a nudo degli artifici teatrali, smascherati come paccottiglia e trucco volgari, alla negazione della materialità del palcoscenico e cioè della tradizionale barriera tra scena e spettatori. Anzi la formula del “teatro nel teatro” va ben al di là dell’artificio di far recitare sulla scena, durante la recita di un dramma, un altro dramma, e diventa piuttosto pretesto per una discussione sul teatro stesso: insomma teatro e metateatro, finzione scenica e dibattito teorico su di essa si mescolano strettamente. La critica al dramma borghese dell’epoca, intriso di romanticismo melodrammatico, e alle compagnie che lo mettono in scena è evidente, ma l’autore vuole colpire più in alto: è il potere stesso dell’arte, così enfatizzato dalla letteratura decadente, che viene posto in questione.
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