“Lo vidi” racconto breve di Pasquale Cavalera

Pasquale Cavalera

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Pasquale Cavalera nasce il giorno di Ferragosto del 1983, a Galatina, cittadina sita nel cuore del Salento. Si laurea con il titolo accademico di Dottore magistrale in Ingegneria meccanica nell’estate del 2009, conseguendo il massimo dei voti con lode. Ingegneria e Scrittura, uno straordinario binomio, entità complementari con le quali egli condivide la sua esistenza, il perfetto connubio vincente, armoniose facce di una stessa medaglia. L’esordio come scrittore avviene nell’anno 2015 con la pubblicazione del suo primo lavoro “Lo vidi”, per mezzo del quale sancisce ufficialmente il suo ingresso nel mondo del Racconto Breve.

Riceviamo e pubblichiamo il racconto, “Lo vidi“, di Pasquale Cavalera.

Lo trovarono morto, adagiato sul letto del fiume, con un grosso masso legato intorno la caviglia destra. La gravità lo tirò giù, non permettendogli mai più di riemergere.

Ancor prima lo vidi sui giornali cittadini, era stato insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro. Quale onore per il nostro piccolo paese, anche perché non avevo amico o parente che non lavorasse in una delle sue fabbriche.

Ancor prima lo vidi scendere dalle gradinate della Cattedrale sottobraccio alla sua novella sposa, una donna vent’anni più giovane, meravigliosa, nel nostro quartiere la chiamavamo “la figlia del Re” per il suo superbo atteggiamento da oca.

Ancor prima, scortato dal fratello minore, lo vidi rientrare con un volo transoceanico, portava con sé un mucchio di denaro. “Investimenti dall’esito scontato” ripeteva. Non vi era motivo per non credergli. Nel frattempo i viaggi aumentarono, così come il suo conto, un fiume di banconote in piena. Fu in quel periodo che fondò la sua prima azienda.

Ancor prima lo vidi per le vie del paese, con una scopa in mano a pulire la merda lasciata dai cani. Il giudice penalista aveva riscontrato un suo netto miglioramento nei rapporti interpersonali ed in accordo con due psichiatri, decise per l’assegnazione ai servizi sociali. Le ore di riposo, così come le festività, le trascorreva in compagnia dei monaci.

Ancor prima lo vidi in televisione, sui telegiornali nazionali, cronaca nera, prima notizia. Ne parlarono un paio di giorni, poi l’interesse per il caso andò scemando e non si seppe più nulla. Lo vidi al processo, poi in carcere, infine ai domiciliari per buona condotta. Nel frattempo conobbe figure poco raccomandabili che frequentavano il suo appartamento in qualsiasi ora del giorno, nessuno vigilava.

Ancor prima lo vidi entrare in casa mia. Afferrò mia figlia per i capelli. La fissò dritta negli occhi con sguardo rabbioso. Le urlò “schifosa puttana”. La trascinò per strada come fosse una cagna, la fece inginocchiare sull’asfalto a testa china, sfilò dalla tasca una pistola. La freddò con un colpo secco alla nuca. Lo pedinai per vent’anni, a partire da quel giorno.

Lo vidi andar giù lentamente, come inghiottito dal fiume. Quella fu l’ultima volta che lo vidi. E fui anche l’ultimo a vederlo. Vivo”.

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