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Recensione di Marina Crisafi pubblicata su Calabria Ora
Quasi tutti i personaggi di un certo rilievo, hanno una loro biografia ufficiale. Ma definire “Essere Francoise Sagan” di Pascal Schembri, autore già noto al pubblico italiano e d’oltralpe, una semplice biografia, sarebbe riduttivo.
Esperimento consolidato, peraltro, nelle altre pubblicazioni della casa editrice Anordest, l’opera di Schembri è, semmai, come la definisce Marco Ongaro nella quarta di copertina, un “saggio pirata”, profondo ma fuori dall’accademismo, concepito in forma epistolare.
Perché lo sguardo e la ricerca dell’autore accompagnano per mano in una sorta di dialogo con la famosa scrittrice, scomparsa nel 2004 per un’embolia polmonare: Schembri immagina le sue risposte, scandaglia le ombre del suo animo, respira il suo essere e cerca di farlo respirare ai lettori, calandosi nei suoi panni, nella sua vita. Una vita, quella di Francoise Segan, al secolo Francoise Quoirez, se ci fosse bisogno di ricordarlo, vissuta sempre ad alta tensione, all’insegna delle droghe, dell’alcol, degli scandali, della bisessualità ostentata, del gioco d’azzardo, della dissipazione e della miseria.
Una vita infelice e fortunata, perché come anticipa lo stesso autore, felicità e fortuna sono un ossimoro: “alla fortuna non sempre, o quasi mai, corrisponde la felicità”. A dimostrarlo è la stessa sorte della Segan: una donna che poteva avere tutto e che, del resto, non si è privata di nulla; che col suo primo romanzo, “Bonjour Tristesse”, tradotto in venti lingue, ha avuto una notorietà mondiale; che ha sbancato il casino di Deauville; che ha amato trasgressivamente e intensamente; che è andata sempre controcorrente, perdendosi poi nel senso di vuoto, nella noia, nella solitudine, dettato, forse, dalla ricerca spasmodica e angosciosa della felicità, conoscendola per pochi fragili attimi, per lottare contro l’impossibilità di fermarla.
Certo, è facile pensare che chi ha tutto non è mai soddisfatto. L’insoddisfazione, oggi, impera, ed è il primo prodotto della modernità. Ma la Segan era un’artista, un genio. E ciò significa far vagare lo sguardo oltre i confini della quotidianità, guardare tutto, per dirla con Schembri “da una posizione superiore, dominare con l’intelletto la miseria quotidiana e farsene interprete stilizzante. È subirla e innalzarla al rango di letteratura”. E proprio in quest’ultima, forse, Francoise Segan trovò la felicità tristemente rincorsa, riversando nella scrittura tutta se stessa.
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