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Di Francesco Borrello
Ci insegna la saggezza popolare che “lu santu, ch’è di marmuru, non suda”, ma da qualche giorno la statua di San Rocco, vicino all’altare, aveva preso a sudare ed era un continuo viavai di gente che osservava, pregava, commentava e anche gli scettici si facevano la meraviglia. È vero che la statua era di legno e non di marmo ma sempre di avvenimento straordinario si trattava. Però, siccome sul sudore dei santi di legno la saggezza popolare non si è mai espressa, non si sapeva cosa pensare.
Cosa pensare lo sapeva invece Mastro Ciccio che di legno se ne intendeva e si affrettò a spiegare l’arcano prima che qualche vecchietta gridasse al miracolo battendosi il petto. Era un problema di cattiva stagionatura e di cattive vernici: non c’era rimedio.
Infatti, tempo un paio di mesi, la statua aveva smesso di sudare, e fortunati quelli che avevano pensato in tempo a inzupparci il fazzoletto e a tenerlo per reliquia, e vennero fuori tante di quelle crepe e scrostature che, piuttosto che ripararla, conveniva farla nuova. E così si fece.
La nuova statua fu sistemata con tutti i riguardi presso l’altare e la vecchia accantonata vicino al confessionale. Ma non tutti gradirono.
Nella tradizione bizantina, per distinguere santi con lo stesso nome vissuti in epoche diverse, spesso a distanza di centinaia di anni, si aggiunge l’appellativo “giovane” o “vecchio” (San Nilo il giovane, San Nilo il vecchio). A Bova, con questi due appellativi, non due santi si distinsero ma le due statue: Santu Roccu lu giuvenu, Santu Roccu lu vecchiu.
Due santi, due partiti. I “progressisti” che accendevano entusiasti i loro ceri davanti alla statua nuova, i “conservatori” che continuavano ad accenderli davanti alla vecchia. In più, gli immancabili opportunisti che, per tenersi da due rami, li accendevano davanti a tutte e due cominciando dalla vecchia, per riguardo dell’età. E così, mentre vi era chi bestemmiava Santu Roccu lu vecchiu, convinto che ormai non fosse più peccato, altri, invece, proprio a lui si rivolgevano per invocare grazie, rassicurati dalla sua maggiore esperienza.
Tra questi, il più fanatico era Mastro Rocco che il giovane neanche lo guardava, mentre col vecchio era tanto in confidenza che gli parlava di tu a tu e addirittura, una volta che avevano avuto da dire, gliele aveva pure cantate. Ecco come erano andate le cose: quando Santu Roccu lu vecchiu era, diciamo così, titolare, ai suoi piedi ardeva sempre una lampada ad olio ed era proprio il devoto Mastro Rocco, che del santo portava il nome, che provvedeva a rabboccarla. Finché, come fu e come non fu, da un bel giorno l’olio comincio a sparire.
Molti ricorderanno che nel “San Giovanni Decollato” di Martoglio uno scomunicato, facendo finta di pregare, “bagnare pane, Madonna, ahum ahum, bagnare pane, Madonna, ahum ahum”, inzuppava nell’olio della lampada un pezzo di pane e poi, pian piano, se lo mangiava. E Mastro Agostino lo smascherò col “pepe spezio macinato”. Lo scomunicato di Bova, invece, non fu mai pizzicato e, così, l’olio continuava a sparire. E Mastro Rocco, per non lasciare il santo al buio, provvedeva a versarne dell’altro.
Certo, a San Rocco, che in vita tanto bene aveva fatto ai poveri, la cosa non poteva dispiacere ma a Mastro Rocco, che quell’olio se lo toglieva dalla bocca, dispiaceva, eccome. E così, alla fine, non solo non rabboccò più la lampada, ma se la prese pure col santo: – Esù theli, Aio Rocco, na mini sto scotìdi: mandè ton embisikkeggue! (Tu voi, Santu Roccu, mi resti allu scuru: sinnò lu mbisiccavi1!).
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