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Riceviamo e pubblichiamo:
Il tema della riduzione dei costi della politica e delle pubbliche organizzazioni, di cui tanto si parla in questo periodo, dovrà iniziare a compiere dei passi concreti. Ricorre periodicamente l’ipotesi di abolizione delle province, ma nei momenti in cui gli intenti e gli auspici dovrebbero essere tradotti in legge, la politica non riesce a fare il passo decisivo.
In questi giorni è riemersa, nel dibattito nazionale, l’ipotesi di prevedere, per legge, l’obbligo dei piccoli comuni, delle piccole province e finanche delle regioni più piccole, di fondersi. Di fronte alla gente comune che inizia a percepire quello che sarà il conto da pagare con la recente manovra finanziaria e ciò che sarà con le manovre che arriveranno entro il 2014, ci si rende conto che c’è l’urgenza di semplificare il peso delle strutture politiche e delle pubbliche amministrazioni.
La possibilità che il territorio del Comune di Cosenza possa essere allargato ai comuni del circondario ritorna anch’essa puntualmente ormai da alcuni lustri, ma non si è mai concretizzata in una seria proposta formale e a cui sia stato dato seguito. Occorrerebbe ragionare più con lo sguardo da “statisti” che non da “politici” per dargli una concretezza. Si è parlato qualche volta in passato di “Area Urbana” o di “Grande Cosenza”, ma con i limiti dettati dagli interessi nella gestione degli attuali piccoli comuni e di piccoli spazi di potere locale.
Eppure le condizioni per realizzare un passaggio storico, con la formalizzazione in un’unica città di una realtà territoriale, urbana, sociale già di per sé ben identificata ci sarebbero tutte.
Non ci sono contrapposizioni campanilistiche accese come si registrano in tanti altri comuni confinanti italiani. Certo fino a venti, trenta anni fa c’era una qualche diatriba di campanile tra Cosenza e Rende, e qualche sguardo dall’alto in basso tra “cosentini” e “paesani”.
Le trasformazioni degli ultimi quattro-cinque lustri hanno radicalmente cambiato i rapporti tra i vari comuni.
Gli abitanti di Cosenza, nei primi anni ’80 erano circa 100-120 mila, poi è iniziato un costante trasferimento abitativo dei cosentini verso i comuni del circondario.
Prima c’erano solo i casi degli abitanti della città che si trasferivano in nuove zone urbanizzate, confinanti con Cosenza stessa, ma appartenenti amministrativamente ai comuni di Rende (Roges e Commenda) di Castrolibero (Andreotta e Garofalo) e poi di Carolei (Vadue). Il processo si è esteso successivamente a tutti i comuni dell’area, con molti paesini che hanno triplicato o quadruplicato il numero dei propri abitanti.
Un’area urbana identificabile nei comuni sostanzialmente attaccati a Cosenza, sia nella presila sia nelle Serre Cosentine, perché confinanti o perché teoricamente raggiungibili (in assenza di traffico) in pochi minuti dal centro della città, ed estendibile in più a Montalto Uffugo (naturale prosecuzione dell’asse Cosenza-Rende verso la valle del Crati) conta oggi una popolazione residente di oltre 200 mila abitanti.
Nei prossimi anni i percorsi di abolizione delle province gli accorpamenti dei piccoli comuni che non riescono più a sopportare e sostenere i costi di gestione amministrativa e burocratica, saranno inevitabili. E’ inoltre necessario che i comuni passino attraverso forme di cooperazione nella gestione dei servizi, pensando a servizi comuni con integrazione ancora maggiore di quanto oggi non avvenga, nella gestione di acqua, sistema dei rifiuti, trasporti locali. Cosenza ha la necessità, ma anche l’opportunità, di integrarsi.
In Calabria c’è già stato un esempio simile, nella città in cui vivo da ormai 22 anni, Lamezia Terme. Lamezia si è fusa, come comune unico, grazie alla lungimiranza del compianto senatore Arturo Perugini, e vive i vantaggi di questa unione, nonostante sia partita da condizioni nettamente meno favorevoli. Le tre realtà lametine originarie, Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia Lamezia, oltre ad essere ancora fisicamente staccate, salvo una linea di confine tra Nicastro e Sambiase, erano (e in gran parte ancora sono) nettamente diverse come condizione urbanistica, economica, sociale. Tra i due centri, Nicastro e Sambiase, vi erano addirittura, e sono ancora riscontrabili nella popolazione più anziana, anche differenze antropologiche e culturali, con finanche accenti di dialetto perfettamente distinguibili tra i due ex comuni. La realtà più piccola, Sant’Eufemia, che poi è quella che dà a Lamezia la sua importanza nella centralità fisica regionale e nel sistema dei trasporti (nodo ferroviario, nodo autostradale e aeroporto) è sotto molti aspetti ancora un corpo a sé, sia urbanisticamente sia come popolazione, con i residenti più “anziani” addirittura di origine veneta (dai tempi della bonifica agraria), poi in maggior parte provenienti da diverse aree della Calabria, ed oggi caratterizzata da una multiculturalità variegata grazie ai tanti immigrati.
L’area urbana di Cosenza ha la possibilità di non essere frenata dai limiti che Lamezia Terme ha vissuto e ancora in parte vive.
E’ necessario che a Cosenza, e nei dintorni, qualcuno inizi a guardare la realtà con lungimiranza, tenendo presenti quelli che sono gli interessi reali di tutta l’area urbana, prima che inizi una corsa alle fusioni in cui prevediamo ci saranno le proposte più strampalate (con comuni distanti tra di loro 30 o 40 chilometri con in mezzo il deserto) e diventando anche un modello di riferimento a livello nazionale.
Una Grande Cosenza, comprendente i tre maggiori comuni dell’hinterland (Rende, Castrolibero, Montalto), i comuni delle Serre (da Mendicino, a Cerisano, ai due Marano, fino a San Fili), le aree di Carolei e Dipignano e la Presila, riflette una realtà geografica, urbanistica e sociale che ha già una sua connotazione ed unitarietà. E’ giunto forse il momento di iniziare sul serio a metterla a tema e di avviare i percorsi politici e amministrativi per concretizzarla.
Sabatino Savaglio – Lamezia Terme
Calabria (im)possibile
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