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E’ il pomeriggio del 12 Aprile del 1943 , quando Cosenza conosce direttamente la crudeltà della guerra. Fino ad allora l’aveva vista nei soldati impegnati altrove nei racconti dei reduci , la viveva nei continui ritardi dei treni e nelle privazioni dettate alla gente dal conflitto stesso , ma mai avrebbe pensato che in quella giornata maledetta i bombardieri angloamericani, partiti dall’Africa, avrebbero vomitati sulla citta dei bruzi il loro carico di morte. Le “Fortezze volanti” comparse dalla valle del Savuto annunciate dal caratteristico rombo, volarono cupe su una città inerme e difesa in modo obsoleto.
Da i posti più alti le seguirono attraversare l’intera valle del Crati e tutti tirarono quel sospiro di sollievo concesso alla preda sfuggita al primo assalto. Dopo qualche minuto il rombo divenne di nuovo più acuto, stavano tornando indietro , avrebbero bombardato portando distruzione e morte.
Le ombre lunghe , di un sole che stava per cadere oltre le Serre Paolane, che prima parevano seguire a fatica gli enormi uccelli d’acciaio ora minacciose li precedevano in un fuggi fuggi generale, scandito dal fragore delle sirene che urlano incessanti.
C’è chi raggiunge la gallerie di colle Triglio , chi prega cercando un riparo chi rassegnato percepisce che tutto sarebbe inutile . Poi i fischi degli ordigni seguiti immediatamente dai boati ,la polvere i lamenti. I bombardieri avevano vomitato sulla tomba leggendaria del re Balto Alarico il loro carico di ordigni, lasciando la città ferita a leccarsi le ferite e scomparendo nel silenzio dell’orizzonte come erano arrivati.
Tra le macerie dei palazzi sventrati che fino ad allora avevano protetto l’intimità delle famiglie , figure impolverate, sanguinanti, sofferenti, sorprese per una incomprensibile e inaspettata crudeltà.
Quelle macerie non erano immagini nuove agli occhi dei cosentini ,abituati in ogni epoca a rivedere con che pietra è costruita la propria abitazione. Ma questa volta ,la terra, non aveva tremato dalle viscere era tutto opera dell’umo ,della sua assurda contesa distruttrice che chiama guerra.
Si seppe poi che l’obiettivo principale era la stazione ferroviaria e i suoi collegamenti con gli aeroporti militari di Sibari e Camigliatello Bianchi, e la devastazione del quartiere Spirito Santo, che subì i danni più ingenti, ne giustifica i propositi.
Ad essere colpita , per deriva si disse, anche una scuola elementare di quel quartiere , che tra le vittime, contò cinque scolari e il fratello di uno di loro ,che sotto l’incessante cadere delle bombe cercava il fratellino Francesco. Per anni il fratello maggiore dei due fece vedere la cartella in cuoio di Francesco, con l’ultimo dettato e il libricino dei canti legionari. Chi poi quei bombardamenti li vide dal balcone naturale della presila non dimenticò mai il rombo di quelle “fortezze volanti” angloamericane ,che poterono guardare dritte negli occhi, quasi dalla stessa altezza di volo. Tra loro numerosi “sfollati” che avevano preferito popolare quei paesi in alto in previsione di quegli eventi luttuosi, emulando gli antenati che nel 975 li fondarono fuggendo alle incursioni saracene.
A ricordo del tragico bombardamento , negli anni ottanta, lo scultore Cesare Baccelli dedicò un monumento, misteriosamente scomparso ,dopo essere stato spostato in un deposito comunale in seguito al rifacimento della piazza. Le ultime risultanze della sua ricercano lo vogliono confuso in una discarica di ferraglie nel crotonese.
Passando nei prossimi giorni sulle sponte del fiume bruzio, vada un pensiero a Anna Imbrogno , Pasqualina Valente, Antonietta Mauro, Natalina Nigro, Francesca Pellegrino, Francesco e Pasquale Ferraro, e a tutte le vittime delle guerre.
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