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“Un pacchero alla ‘ndrangheta”: così il presidente della Commissione regionale antimafia Salvatore Magarò ogni anno prova a dare un simbolico schiaffo alla organizzazione criminale più potente al mondo con l’assegnazione del pacchero d’argento, il premio ideato dallo stesso Magarò e conferito, insieme al Laboratorio politico-culturale “La Calabria che non c’è” a coloro che improntano la quotidianità delle loro azioni e del loro lavoro alla correttezza, al rispetto delle regole, alla cultura della legalità, giocando sul significato metaforico del termine che letteralmente esprime il concetto di ceffone, di una sonora sberla.
L’edizione 2013 è stata ospitata nello scenario suggestivo della Chiesa di Santa Maria in Gerusalemme a San Pietro in Guarano (Cosenza) dove si è svolta la cerimonia di premiazione a quegli uomini che sono particolarmente impegnati in questo grande campo di battaglia chiamato Calabria. Il dibattito, curato nell’organizzazione da Orena Ventura, è stato moderato dal giornalista Salvatore Bruno con alcuni gradevoli intermezzi musicali del M° Rosario Lullo.
Assai prestigioso il parterre, composto dal prefetto di Cosenza Raffaele Cannizzaro, dal magistrato della Dda di Catanzaro Vincenzo Luberto, dall’editore Florindo Rubbettino, dal comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri Francesco Ferace. Presenti inoltre Francesco Cava, presidente dell’Ance regionale, e Antonella Barbarossa, direttrice del Conservatorio di Musica “Fausto Torrefranca” di Vibo Valentia.
A fare gli onori di casa il sindaco di San Pietro in Guarano Francesco Acri (che nel corso dell’evento premia Luberto assieme all’omologo di Castiglione Cosentino Antonio Russo).
La serata di Magarò, che non interviene ma il cui operato viene più volte sottolineato dalla parole di apprezzamento degli ospiti, è intrisa di sostanza oltre che di forma. Perché il confronto sollecitato dal moderatore, è serrato. A cominciare dall’intervento del primo cittadino sanpietrese Francesco Acri che parla dell’esistenza di una sola mafia e di più antimafie non coordinate. Un’idea condivisa da Luberto ma non da Cannizzaro. Il magistrato sottolinea le radici antropologiche del problema e interroga provocatoriamente sul perché, nonostante gli sforzi, “i meno” (la ‘ndrangheta) continuino a prevaricare sui “più” (lo Stato e i cittadino onesti). Rubbettino, premiato da Antonella Barbarossa, per la pubblicazione della collana editoriale non bacio le mani ricorda come i libri su mafia e ‘ndrangheta siano stati per decenni e decenni quasi inesistenti, e sposa la tesi che la criminalità sia innanzitutto un fenomeno culturale. E’ su questo campo che va osteggiato, dice, oltre che con la sola repressione. Il presidente dell’Ance Francesco Cava ricorda come la ‘ndrangheta abbia pensato in grande ancora prima che tutti se ne accorgessero e abbia allungato i tentacoli sulle cave dell’Expo 2015 di Milano anni e anni prima.
Il colonnello Ferace è il primo ad alzarsi in piedi. Tesse le lodi dell’Arma, ricorda l’esempio del generale Dalla Chiesa e passa in rassegna i risultati migliori ottenuti in questo territorio, compresa la recente operazione di Rossano che include anche la contestazione del rivoluzionario capo d’imputazione ex articolo 513 del codice penale (turbamento della libertà dell’industria e del commercio). Ferace si lamenta della mancata collaborazione dei cittadini nei comuni della Provincia ma allo stesso tempo fa notare come negli ultimi sei mesi si siano verificate solo 122 rapine nei 155 comuni e che la Calabria non sia esattamente quel Far West descritto oltre i confini regionali. E altresì valorizza il ruolo della donna, che ha acquisito un certo grado di emancipazione.
Non passa inosservato però un suo attacco ai giornalisti, rei a parer suo di sensazionalizzare fatti di cronaca e di terrorizzare eccessivamente la popolazione per quanto riguarda la criminalità, trasformando le figure di normali delinquenti in leggendari boss.
Il clima si fa sempre più interessante quando in chiusura scende in campo il prefetto, stavolta in piedi piuttosto che seduto. Premiato da Francesco Cava anche per il protocollo d’intesa Prefettura-Comuni sugli appalti, Cannizzaro è durissimo contro il sistema vigente e rivela che a breve renderà nota la lista di quelle amministrazioni che, pur avendo sottoscritto il protocollo, vantandosi a suon di comunicati di aver aderito alla iniziativa antimafia, poi nella pratica non hanno rispettato i patti. Anche in questi atteggiamenti Cannizzaro individua uno dei grandi mali della Calabria, insieme ad altre cattive pratiche come l’abitudine delle persone a ricoprire per lungo tempo i medesimi ruoli in seno alle istituzioni e l’abitudine dei cittadini a vedere certi comportamenti illegali consolidati che diventano nella percezione comune “sopportabili e legali”. Secondo Cannizzaro anche magistrati e forze dell’Ordine operano per troppo tempo e fanno famiglia nello stesso territorio, rendendosi più vulnerabili e corruttibili. Sono questi i “paccheri” forti e più diretti nella serata del presidente Magarò.
Un ulteriore riconoscimento è stato attribuito a Suor Carolina Iavazzo, collaboratrice dell’indimenticato Don Pino Puglisi brutalmente assassinato dalla mafia a Palermo nel 1993. Il premio le sarà consegnato il prossimo 10 luglio a Castiglione Cosentino da Monsignor Vincenzo Bertolone, Vescovo di Catanzaro e postulatore della Causa di Beatificazione del parroco di Brancaccio.
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