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Il giornalista Alessandro Bozzo, redattore ordinario del quotidiano “Calabria Ora” ha messo fine alla sua esistenza con un colpo di pistola. “Non andava più d’accordo con la vita”, hanno scritto i suoi colleghi, annunciando il tragico gesto di un “giovane intelligente, informatissimo, sicuramente uno dei più brillanti giornalisti calabresi”.
Ieri pomeriggio, nella sua casa di Marano, si è chiuso in camera e, con un colpo di pistola, ha lasciato questa terra, aprendo una voragine nel cuore dei colleghi che non riescono a darsi pace al pensiero di non rivederlo più. “Ha lasciato una lettera”, raccontano i colleghi, nella quale “ha scritto che non c’era una ragione precisa per quella scelta: non ce la faceva più a vivere”.
Nato a Cosenza il 12 marzo 1973, dopo gli esordi con alcuni periodici ed emittenti televisive, era stato assunto dal quotidiano “La Provincia Cosentina”, con la qualifica di praticante, dal 1° ottobre 2003. Superato l’esame di idoneità professionale il 27 luglio 2005, vi aveva lavorato come redattore fino al 31 dicembre 2005, per poi entrare, dal 1° marzo 2006, nella squadra del nuovo quotidiano “Calabria Ora”, impegnandosi anche nel Comitato di redazione. Sposato con Mariuccia, aveva una bambina, Venere.
Sette anni nella redazione centrale del quotidiano cosentino ad occuparsi soprattutto di cronaca. Un carattere difficile, quello di Alessandro, che, dietro ad uno sguardo burbero, nascondeva un cuore grande, come raccontano in lacrime i suoi colleghi di “Calabria Ora”.
“Me lo spieghi ora io cosa devo dirti? Eh, me lo spieghi? Ora a me chi mi ripaga del fiato strozzato che avrò ogni volta che guarderò quella tua dannata scrivania a lato della mia?”, ricorda Francesco Cangemi, aggiungendo che Alessandro Bozzo “era un grande professionista, quello che mi dava le dritte per telefono”.
“Eri bravo a raccontare le tragedie altrui”, aggiunge Saverio Paletta, “perché del bravo giornalista avevi tutto: la stoffa, la preparazione, la penna e il caratteraccio. Un orgoglio ruvido che ti metteva a disposizione degli altri e, forse, ti ha reso incapace di raccontare te stesso”.
Alessia Principe ha ancora nelle orecchie “la musica classica che esplodeva dalla sua postazione” e il ricordo del romanzo immaginato, ma mai scritto da Alessandro: “l’assalto al Castello di Sangineto da parte dei pirati sanguinari e al diavolo i turisti imbellettati”. “Dannazione”, spinge in gola Alessia, “non te lo dico che mi mancherai, ché a te queste smancerie non piacevano per niente. Avresti sorto il viso ricordandomi che è roba da femminucce. però è così, porca miseria. E’ così”.
Antonio Alizzi lo conosceva da dieci anni, dai tempi della “Provincia”: “Ti regalava sorrisi dolci e amari, con lui potevi parlare e confrontarti su tutto che alla fine non riuscivi mai ad annoiarti. «maestro Bozzen», così lo chiamavo, era il giornalista che faceva la differenza”.
Marco Cribari era il “socio”: “Ci chiamavamo «Papà» e «Tristezza», come i protagonisti del Braccio violento della legge. Tu eri Papà. Ed io ero così contento di chiamarti così, a te che mi avevi insegnato quel po’ che so di questo lavoro. Con quella parolina che mai avevo potuto pronunciare ad alta voce: «Papà abbiamo l’ordinanza», «Papà, stanotte si balla», “Papà ti voglio bene». Era una carineria, lo so. ma non avrei avuto il coraggio di dirtela prima. Tu, invece, le cose le dicevi senza veli, anche quelle sgradevoli, perché «fa parte del personaggio»”.
“E’ la prima persona che mi ricordo, di quel giorno di luglio, quando misi per la prima volta piede a Calabria Ora”, ricorda il direttore Piero Sansonetti, “i suoi capelli scurissimi e quel sorriso beffardo e interrogativo. Forse non si fidava molto. Me lo ricordo bene perché era lui uno di quelli che aveva preso di mano il giornale e lo guidava. Abbiamo lavorato insieme quasi tre anni e, come succede, non abbiamo sempre avuto rapporti idilliaci. Si discuteva, si litigava. però c’era rispetto. Io sapevo che era bravo, che era una sicurezza nel suo lavoro, aveva le due grandi doti (rare) del giornalista: la prima è capire la notizia, la seconda è sapere scrivere bene. Mi aspettavo di tutto da Alessandro, ma un gesto così no, non me lo aspettavo davvero. Non lo avevo capito. Non avevo capito che quel sorriso misterioso non era una smorfia ma la sua anima vera. Il suo dolore, la sua capacità di soffrire. E la sua grandezza, la sua maledetta, dannata, meravigliosa grandezza”.
Il segretario del Sindacato Giornalisti della Calabria, Carlo Parisi, vicesegretario nazionale Fnsi, nell’esprimere il “profondo cordoglio del sindacato dei giornalisti”, di Alessandro Bozzo ricorda gli incontri e le lunghe telefonate consumate a discutere di “qualità dell’informazione e diritti dei giornalisti”.
“Alessandro – ricorda Carlo Parisi – pubblicamente, di solito, era di poche parole, ma con chi si fidava era un fiume in piena. Il suo modo di intendere il giornalismo, nella più nobile delle declinazioni, spesso faceva a pugni con quanti, un po’ per rassegnazione, un po’ per «quieto vivere», derogano o, peggio, rinunciano ad un «mestiere» che non ammette sfumature. La sua breve, ma intensa carriera professionale, come testimoniano le toccanti testimonianze dei colleghi, l’ha dedicata a diffondere e radicare nei colleghi, soprattutto i più giovani, i valori più nobili della professione giornalistica, costituiti dalla costante ricerca e dalla verifica delle notizie, ma soprattutto dal rispetto della dignità umana e professionale della persona”.
“Adesso che, dopo tante battaglie vinte, – chiosa Parisi – Alessandro ha perso, con la più assurda delle scelte, il bene più prezioso, la vita, spetta ai suoi colleghi ricordarlo, magari cominciando a dedicargli la ricostituzione del Cdr, strumento di tutela dei diritti, ma anche occasione di dialogo, confronto e, perché no, conforto, in una professione che non può ridursi, soprattutto nel pieno di una redazione, ad un mero lavoro da scriba, specie quando ci si trova a scrivere notizie che, come questa, non si vorrebbero mai dare”.
Fonte: Giornalisti Calabria
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