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Un libro è come uno specchio. Leggendolo si può vedere riflessa l’interiorità dell’autore. Si possono cogliere travagli di ricerca, estasi di contemplazione, approdi rasserenanti ed affanni esistenziali.
Nessun uomo, che nello scrivere proietta se stesso, riesce ad essere esaustivo. Tuttavia, dallo stile e dal contenuto, un libro è una confessione a voce alta.
Gianpiero Pitaro, e mi permetto di dirlo perché lo conosco bene, non è un conformista, un rassegnato, un cosiddetto «piangente» sulla vita. Tutt’altro. È un uomo che cerca, scruta, talvolta sogna ma senza evadere mai la realtà.
La sua dignità lo situa con umiltà dinanzi al suo vissuto personale e storico.
La luce e la forza del suo esprimersi, come nel delicato lavoro: Filosofia dell’Amore misericordioso. Alla ricerca del mistero, è soffertamente una gestazione veritativa nella sua interiorità. Quando si scrive si cerca quanto si anela, quanto appare, anche se vagamente, dentro il nostro spirito umano.
Nessun uomo è esaustivo di fronte alla verità. La sua vera dignità intellettuale, per questo, è l’umiltà.
Chi coglie un frutto da un albero può significare la signoria dell’uomo sul creato ma la modalità comportamentale può significare la possibile immaturità culturale.
La verità è un travaglio interiore ineludibile ma non è nostra proprietà. Ecco perché chi la cerca non deve essere esclusivamente dotto quanto piuttosto marcatamente umile.
La verità non è mai esaustiva sulla terra. Si possiede se c’è umiltà e se si ricerca sempre.
Gianpiero Pitaro, in questo suo lavoro, si presenta come uno che cerca il “mistero” dell’essere, della vita, dell’oltre, del profondo dell’esistenzialità umana. Rileva dentro il suo dire che lui ha un percorso. Non è un vagabondo esistenziale. Il sentiero che lo incanala nella sua ricerca è la verità che scaturisce dall’amore o, se si vuole, è l’amore che fluisce dalla verità.
L’approdo esistenziale all’Amore che è, in fondo, il volto di Dio, Gianpiero lo coglie come “ricerca” e conclusivamente come “misericordia”.
La parola misericordia significa “cuore alla miseria”. C’è quindi un vedere del cuore dell’uomo, non solamente logico, ampolloso, nella verità che conquista.
La alta intuizione dell’autore sta, non tanto nel pathos esaltante dell’approdo alla verità, ma nel dono di essa attraverso un processo altissimo e profondo che è l’epigono dell’esperienza cristiana ed è l’amore che si fa misericordia. Questo, d’altronde, è il volto di Dio apparso in Gesù.
Ho molto apprezzato la conclusione del delicato, sofferto ed intelligente lavoro quando l’autore dice il suo “Amen” alla misericordia, volto dell’Amore, e all’Amore chiave della misericordia.
Auspico che il profondo ed umanissimo lavoro di Gianpiero Pitaro sia come una chiave per chi, cercando la verità e la pace, è ancora chiuso; e questo lo dico umilmente perché la pace non è nell’esuberanza delle idee ma è nel silenzio dell’Amore che si fa misericordia.
Auguro al caro Gianpiero che le sue riflessioni sincere e vivaci muovano ad un amore fondato sulla verità ma orientato alla verità – dono.
Difatti, la verità si fa dono quando è silenzio crocefisso perché l’altro che incontri, che sogni, lo sai vedere nella verità di Dio.
La verità di Dio non tende mai ad essere ideologica ma pace ed amore.
Auguro una lettura serena, accogliente che porti luce e provocazione al dono, cogliendo che l’Amore è il volto genuino di ogni verità.
S.E. Mons. Giuseppe Agostino
Arcivescovo metropolita emerito
della Diocesi di Cosenza-Bisignano
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