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“La stagione estiva sta per volgere al termine e con l’avvento dell’autunno-inverno avremo anche le piogge. Ma in questi ultimi mesi – chiediamo – è stato fatto qualcosa da parte delle autorità nazionali, regionali e locali, al fine di evitare eventuali disastri scaturenti dal dissesto idrogeologico? Poniamo questo interrogativo – dichiara Aurelio Morrone, Commissario regionale dei Verdi Calabria ed esperto del Settore – poiché il problema del dissesto idrogeologico non è secondario al resto dei problemi che incombono sul territorio e,quindi, sulla Comunità.
E anche perché – afferma ancora Morrone – senza la messa in sicurezza del territorio è inutile un serio progetto di sviluppo.
Siamo sempre più convinti che occorra varare una normativa regionale che si ispiri al principio di stop al consumo di suolo, che possa essere recepita, anche attraverso l’assegnazione di risorse finanziare, a partire dai comuni.
Noi riteniamo – sostiene convinto Aurelio Morrone – che la messa in sicurezza del territorio, è un investimento serio, sia per evitare disastri alle cose e alle persone, sia per creare posti di lavoro. Ma purtroppo, registriamo, e i dati sono inconfutabili, che questa semplice formula non trova una concretezza nelle azioni politiche”.
Da anni, infatti, si preferisce aspettare che si consumano gli eventi disastrosi per intervenire in questo settore, sprecando ingenti risorse, che il più delle volte non bastano nemmeno a riportare le aree colpite alle condizioni pre-disastro, e che, tra l’altro, non incidono per nulla sulle cause reali del disastro.
I Verdi calabresi sostengono che fino a quando si seguirà la logica dell’emergenza, anziché quella della pianificazione, si continuerà a sperperare denaro pubblico inutilmente e si continuerà a mantenere nella paura milioni di persone.
Eppure basterebbe poco per far diventare la formula territorio-lavoro una formula vincente e convincente, soprattutto in questo periodo di crisi delle produzioni e dei consumi.
Anzi, lo poteva essere già da prima, se solo si fosse evitato di disseminare il territorio di opere pubbliche, altamente dispendiose, inutili, inutilizzate e in molti casi incompiute e pensato di canalizzate le risorse sulla messa in sicurezza del territorio.
Si conoscono i dati delle aree ad alto rischio, l’entità delle risorse che servirebbero per mettere in sicurezza il territorio, ma allora perché non si interviene? È solo una questione di risorse o c’è dell’altro?
A Scrutare il Passato, Emerge Superficialità di Valutazione del Fenomeno.
Infatti, dal 1989, data in cui è stato emanata la legge sulla difesa del suolo ad oggi sono passati 23 anni, e la situazione anziché migliore è in continuo peggioramento, anche a causa di eventi atmosferici estremi e alla costante urbanizzazione del territorio legale e illegale. Ventitre anni fa, appunto, fu varata la legge n. 183/1989 sulla difesa del suolo che conteneva “le attività di pianificazione per limitare gli effetti negativi sulle persone e sulle cose dovute agli eventi atmosferici naturali e al dissesto”.
Ma abbiamo dovuto aspettare altri dieci anni e altri eventi disastrosi per accelerare questo processo di mitigazione. Solo dopo il disastro di Sarno del 1998, che a fatto 160 vittime, si è avuta un’accelerazione della pianificazione in direzione della sicurezza delle persone, e ciò è avvento con l’emanazione del Decreto Legge n. 180/1998, che ha disposto la “rapida approvazione di Piani Straordinari”.
Piani,questi,contenenti, sia la perimetrazione delle aree esposte a rischio idrogeologica, sia l’adozione di misure idonee di salvaguardia con effetto immediato. Successivamente al disastro di Sarno le Regioni e le autorità di bacino regionali hanno redatto i PAI (Piani di Assetto Idrogeologico) attraverso i quali si è definito il quadro conoscitivo della maggior parte dei dissesti regionali e nazionali.
Inoltre, sulla base di dati PAI, nel 2008 la Direzione Generaledella difesa del suolo del Ministero dell’Ambiente del Territorio e del Mare, ha redatto uno studio dettagliato sul rischio idrogeologico nel nostro paese, dal titolo: “le aree ad alta criticità idrogeologica in Italia”.
Lo studio in questione comprende, sia le aree a rischio (territori con la presenza di persone e cose) che soggette a pericolosità (territori a prescindere dalla presenza di insediamenti) di frana, alluvione o di valanga. Lo studio comprende solo le aree caratterizzate da livello elevato e molto elevato di rischio ed esclude le altre a basso rischio.
La Calabria: Regione Sempre più Esposta alle Criticità Ambientali
Dal Rapporto emerge che l’intero Paese è interessato da questi fenomeni franosi e alluvionali con scostamenti, in alcuni casi, molto significativi a livello regionale. È interessato circa il 10% del territorio Italiano, pari a 30 mila Kmq, distribuiti in circa 6500 comuni. Inoltre, il fenomeno coinvolge 6 milioni di persone e circa 1,2 milioni di edifici, di cui circa 6 mila sono scuole e oltre 500 gli ospedali.
Per quanto riguarda l’aspetto economico-statisco, dal 1944 ad 2009, si sono spesi 52 miliardi di euro per il dissesto, mentre ne basterebbero solo 40 miliardi di euro per mettere in sicurezza tutto il territorio nazionale (dati riportati nel primo rapporto sullo stato del territorio italiano realizzato dal centro studi del CNG (Consiglio nazionale dei geologi in collaborazione con il Cresme, 2010).
Se nelle altre regioni i comuni interessati sono solo una parte, in la Calabria, così come Valle d’Aosta, Umbria e Basilicata sono interessati a entrambi i fenomeni il 100% dei comuni. In particolare la superficie territoriale interessata da alluvioni e frane in Calabria è di circa 1200 kmq su i 15 mila kmq dell’intera superficie calabrese.
Questi dati trovano conferma nel Pai Calabria e nel “piano stralcio per l’assetto idrogeologico – Regione Calabria,si evidenzia“elevato indice di franosità regionale e la particolare concentrazione delle frane, soprattutto in taluni distretti idrologici”. Il Piano, pur non avendo censito tutte le frane presenti sul territorio regionale, ne ha contato 8 mila solo nei comuni capoluoghi e nelle frazioni con popolazione superiore a 200 abitanti. Inoltre, nella stessa relazione, si sottolinea “l’esistenza di un elevato numero di centri abitati sui quali incombe il pericolo di frana, ma anche il perdurare di una situazione di emergenzialità”, che come prima riferito ,“è fonte di dispendio di risorse finanziarie che molto spesso si è tradotto in interventi di ripristino delle funzionalità senza alcuna rimozione delle cause di pericolo.
Guardando in dettaglio i dati relativi alla nostra regione emerge un quadro ancora più sconfortante, se si considera che le amministrazioni comunali che hanno risposto al questionario sono 76 su 409 comuni, il che deve far riflettere sul rischio che si corre se non si prendono provvedimenti.
Anche se i dati regionali si scostano di poco rispetto a quelli nazionale (anche se parziali) permane un livello di attenzione alto. Infatti, nell’89% de comuni nelle aree ad alto rischio idrogeologico ci sono abitazioni, nel 40% nelle stesse aree insistono interi quartieri, nel 66% sono presenti industrie opifici ecc., nel 21% strutture sensibili, come scuole ospedali, mentre in 29% si trovano strutture turistico- ricettive ( ricordiamo il camping le Giare).
Dallo stesso rapporto emerge che solo nel 17% dei Comuni figurano opere di mitigazione del rischio idrogeologico (delocalizzazione di abitazioni, strutture produttive e recettive, abbattimento di strutture abusive, rinaturalizzazione degli argini è positivo, opere di consolidamento), mentre risulta essere scoperta la stragrande maggioranza delle comunità (83%),il che presuppone interventi massicci e urgenti.
I Verdi Calabresi, per non dimenticare,ricordano i disastri calabresi degli ultimi anni: il Camping “Le Giare”, Cavallerizzo, Vibo Valentia, il crollo a Falerna della collina soprastante l’A3, e tutte le altre tragedie che hanno interessato insediamenti abitativi e che hanno determinato anche vittime.-
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