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Tra gli ulivi della chiesa madre, a Castiglione Cosentino si è svolta la cerimonia di consegna del Pacchero alla ‘ndrangheta, l’iniziativa promossa dal laboratorio politico culturale “La Calabria che non c’è”, presente il portavoce Marco Amantea, con il patrocinio della Commissione regionale contro la ‘ndrangheta, presieduta da Salvatore Magarò, ideatore del premio, in collaborazione con il Comune di Castiglione Cosentino.
La seconda serata dell’edizione 2013 del Pacchero d’argento, realizzato e offerto dalla gioielleria Carillon, ha visto protagonista suor Carolina Iavazzo, la collaboratrice di don Pino Puglisi, che continua l’opera del sacerdote ucciso dalla mafia, a Bovalino dove è sorto un centro di solidarietà, aggregazione e assistenza dedicato proprio a don Puglisi.
Le note di “Esultate giusti”, intonate dal Coro a cappella diretto dal maestro Gianfranco Cambareri, del conservatorio di musica Fausto Torrefranca di Vibo Valentia, guidato da Antonella Barbarossa, hanno introdotto la conversazione, moderata dal giornalista Salvatore Bruno.
A premiare suor Carolina l’arcivescovo di Catanzaro e Squillace, mons. Vincenzo Bertolone che ha patrocinato la causa di beatificazione di don Pino Puglisi, conclusasi lo scorso 25 maggio allo stadio di Palermo.
Sul potere dei segni si è soffermato mons. Bertolone che ha sottolineato l’importanza di iniziative simboliche come questa “perché – dice – sono la testimonianza di come il bene possa prevalere sul male. Le forze di polizia, le azioni repressive da sole non bastano se non cambia il cuore dell’uomo”. E poi ha posto l’accento sull’esigenza di “assumere, ognuno, la responsabilità del bene comune”. Nella battaglia contro le mafie “la Chiesa – dice – ha fatto tanto ma deve fare ancora molto. Il nostro compito è quello di stimolare le coscienze e formare galantuomini”.
Riflessioni di stringente attualità si sono alternate a momenti di profonda commozione scaturiti dal ricordo di don Puglisi nella testimonianza di suor Carolina che ha vissuto l’assedio della mafia nel quartiere Brancaccio a Palermo e la resistenza opposta dal sacerdote antimafia, fino al tragico epilogo.
“Quando è morto don Pino – ricorda suor Carolina – la sensazione forte è che tutto fosse finito”. Poi, però, ritorna la speranza e la convinzione che anche la morte di un uomo non è vana se si continua sul solco da lui tracciato.
E lei, napoletana “che – come ama dire – viene dalla camorra, è passata dalla mafia e si trova ora a vivere in una terra di ‘ndrangheta”, non ci ha pensato due volte a continuare l’opera iniziata con don Pino Puglisi, in Calabria, dove – dice “esiste un ricco patrimonio di umanità che ha bisogno di essere indirizzato e sostenuto affinchè non intraprenda le strade dell’illegalità ”.
E poi la denuncia, chiara, essenziale senza gli “orpelli” del linguaggio diplomatico o del politichese, proprio come sa e può fare una donna che ha scelto di stare dalla parte degli ultimi, sempre e comunque, nelle periferie dimenticate delle città, lontano dalle oscurità della Chiesa di Roma.
Sollecitata dalla domanda del giornalista suor Carolina denuncia “l’assenza dello Stato e delle Istituzioni e anche di qualche sacerdote. Il terzo settore – dice – è tagliato fuori”.
Ma poi torna il ricordo di don Puglisi a rischiararle il viso e lo cita: “se ognuno fa qualcosa abbiamo fatto molto” e poi si affretta ad aggiungere: “io non ho fatto niente per meritare questo premio, faccio solo il mio dovere”.
Presenti alla cerimonia, oltre al primo cittadino di Castiglione, Antonio Russo, che ha aperto la manifestazione con un intervento di saluto, anche i sindaci di Bianchi, Longobucco, Marano Principato, Montalto Uffugo ed i rappresentanti della provincia di Cosenza dell’Associazione Nazionale Carabinieri.
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