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“Un consistente e allarmante nucleo di nuova shoah”, così Marco Pannella definisce la realtà delle immonde carceri italiane. Il carcere come luogo dove quotidianamente viene tradito l’art. 27 del dettato costituzionale. Negli ultimi giorni dell’anno ecco la realtà di Castrovillari.
Il carcere, luogo in cui viene vilipeso e calpestato l’art.3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo: “Nessuno può essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti”. Il carcere, tanto per citare la mozione del IX congresso di Radicali italiani, luogo di tortura per detenuti e agenti di Polizia penitenziaria. Il carcere specchio e riflesso di un paese dove ogni giorno muore lo stato di diritto e la costituzione scritta viene sostituita dalla costituzione materiale. Il 20 dicembre, nel corso di una puntata di “Radio Carcere”, Marco Pannella ha scandito in maniera didascalica: “Esigiamo che il nostro stato interrompa la flagranza di reato contro i diritti umani e la costituzione”. Il leader radicale ha invocato l’intervento delle procure della repubblica e nel ricordare l’ennesimo suicidio di un agente ha parlato di “omicidi istituzionali”.
Ci sono numeri che dovrebbero far riflettere e sono quelli che ratificano la bancarotta della giustizia in questo nostro paese. E se emergenza, in una delle accezioni proposte dal vocabolario della lingua italiana Treccani, è una “circostanza imprevista e accidentale”, va da sé che di imprevisto in un sistema la cui cifra è rappresentata da oltre 10 milioni di procedimenti pendenti tra civile e penale non c’è nulla. Anzi, i Radicali avevano lanciato l’allarme e messo sull’avviso quando gli arretrati sul fronte del penale erano decisamente meno consistenti. Nessuna emergenza se da tempo assistiamo ad una irragionevole – verrebbe da dire intollerabile – durata dei processi, con il corollario di una amnistia clandestina e quasi sempre di classe che produce ogni anno quasi 200.000 prescrizioni.
Dov’è, verrebbe da chiedersi, il rispetto dell’art. 5 comma 3 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali?
“Ogni persona arrestata o detenuta… ha diritto di essere giudicata entro un termine ragionevole o di essere messa in libertà durante la procedura”.
La questione che poniamo è quella della bancarotta della giustizia, di cui il carcere è un un’appendice, o se volete putrido percolato.
Ci sono numeri che dovrebbero far riflettere e sono quelli che raccontano dell’inferno vissuto quotidianamente dalla “Comunità penitenziaria” e di cui ci parlano i direttori del Si.di.pe in una straordinaria lettera, nella quale tra l’altro scrivono: “non ci pongono in condizione di svolgere il nostro lavoro con dignità, nell’effettivo rispetto delle leggi solennemente enunciate e quotidianamente violentate…siamo stati, in verità, ricacciati negli angoli più bui di uno Stato che non sembra in grado di mantenere fede agli impegni ed alle promesse celebrate nelle sue leggi”.
Numeri, cifre, e dietro ogni dato, ogni statistica, emerge il dramma figlio di uno stato che non riesce a rispettare la sua propria legalità. In Italia, le statistiche dicono che ogni anno si registra un suicidio ogni 20.000 abitanti; nelle patrie galere, invece, abbiamo un suicidio ogni 924 detenuti. Dal 1990 al 2010 si sono tolti la vita 1093 detenuti e sono stati 15.974 i tentati suicidi. Solo quest’anno registriamo 66 suicidi tra i detenuti e 5 suicidi tra gli agenti di Polizia penitenziaria. Raccontano qualcosa queste cifre? Sì, raccontano della strage di legalità che, per dirla con Marco Pannella, si traduce in strage di popoli.
Da Potenza a Castrovillari
Se è vero – e lo è – che la strage di legalità ha per inevitabile corollario la strage di popoli, la visita al carcere di Castrovillari ce lo ha confermato.
Giovedì 29 dicembre, con Rita Bernardini stiamo attraversando quell’autentico percorso ad ostacoli che è la Salerno-Reggio. La nostra meta è Castrovillari(CS), dove ci aspetta Salvatore Moscato Tesoriere dell’Associazione Calabria Radicale. Rita parla di giustizia e carcere, e non posso fare a meno di pensare che se una piccola scintilla del fuoco che le arde dentro contaminasse il Parlamento, forse potremmo assistere ad un benefico incendio, all’esplosione di un dibattito negato, vietato, che non c’è e che è alimentato quasi quotidianamente dalle frequenze di Radio Radicale, che solo poche ore fa ha diffuso la conversazione tra Marco Pannella e l’on. Alfonso Papa. Conversazione riservata a pochi fortunati (gli ascoltatori di RR).
In macchina parliamo del carcere calabrese e di un dato inquietante: 9 suicidi negli ultimi dieci anni.
Ore 11.00 – Con Rita, Salvatore e Maria Antonietta entriamo nel carcere e siamo accolti dal sorriso e dalla cortesia di un agente del “nucleo traduzioni”, che affranto ci mostra il decadente parco macchine. Ci dicono che il carcere è stato aperto nel ’95: ben 11 anni dopo la sua costruzione. Un altro agente, nel corso della visita, quasi sussurra: “Castrovillari è dimenticato da tutta la Calabria”. Entriamo e iniziamo il nostro giro accompagnati dal Commissario Grazia Salerno e dalla educatrice presente al momento della visita, che tiene a sottolineare che “tutti i permessanti sono regolarmente rientrati”, e poi aggiunge: “Qui trovate solo reati connessi alla miseria”.
Appena entriamo, i nostri accompagnatori non mancano di sottolineare le evidenti infiltrazioni d’acqua nel corridoio del piano terra.
Le celle, i “cubicoli” di due metri per tre, sono decisamente anguste e sprovviste sia di doccia che di acqua calda; nate per ospitare una sola persona, nella stragrande maggioranza dei casi attualmente ne ospitano 3, alloggiate in letti a castello. Un detenuto ci racconta di essersi rotto l’omero precipitando dal letto. Complessivamente 3 ore e mezzo d’aria e due di socialità. Qualche detenuto, riferendosi allo spazio passeggio, arriva a dire che preferisce rimanere in cella. In effetti, di lì a poco verifichiamo che lo spazio destinato alle ore d’aria deve essere stato concepito da una mente disturbata.
Nell’istituto sono presenti due reparti: una sezione maschile e una femminile. Complessivamente 260 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 128 posti. Tra le sezioni, una dedicata ai cosiddetti “sex-offender” e una definita mista, destinata ai “casi problematici”. I detenuti tossicodipendenti sono al momento 25, una percentuale di gran lunga inferiore alla media nazionale.
Nel carcere risultano in servizio due educatori, di cui una in maternità (ne occorrerebbero tre); uno psicologo in servizio tutta la settimana, ma carenze e difficoltà vengono denunciate sul fronte dell’assistenza psichiatrica. Sempre sul fronte sanitario da registrare la presenza di un infermiere per turno e la necessità di incrementare il numero di ore. L’apparecchiatura dentistica presente nell’istituto è in attesa di riparazione da due anni e al momento è possibile solo estrarre i denti. A parere del personale infermieristico, sarebbe utile poter disporre di un ecografo. Il medico presente parla di 40 casi psichiatrici.
I detenuti che riescono ad accedere ad attività lavorative sono una trentina (poco più del 10 per cento) e a questi bisogna aggiungere 7 art. 21, che lavorano come operatori ecologici (raccolta differenziata).
Nel corso della visita e dei colloqui tra Rita e i detenuti emerge tutto il disagio di una detenzione in una struttura sovraffollata e soffocante. Cosimo, 67 anni, ha subito un intervento al cuore e gli è stato installato un peacemaker; da luglio è in attesa di un esame per verificare un’insufficienza respiratoria. In un’altra cella c’è chi lamenta problemi per una visita odontoiatrica: negli occhi di tutti il disagio di dover vivere in celle lontanissime dalla legalità.
L’educatrice che, al pari degli agenti, si danna l’anima per mantenere la baracca, ci racconta che sono circa 60 i detenuti che vanno a scuola tra elementari, media, alberghiero e Itis. Un lampo, quando racconta fiduciosa che il comune dovrebbe dare al carcere due ettari di terreno in comodato d’uso e, chissà, forse partiranno dei corsi.
Ma il disagio di un carcere, che è ghetto, esplode nel triste elenco dei suicidi. Nel 2009, a togliersi la vita a distanza di pochi giorni sono stati in due: il 10 settembre un detenuto cileno; il 19 C.N. Italiano. E ancora, il 13 ottobre 2011, come riportano le cronache e come ci viene confermato dal Commissario, dottoressa Salerno, si è suicidato un detenuto rumeno di 37 anni. Pochi mesi prima, a febbraio, si era suicidato Vasile Gavrilas, anche lui rumeno e anche lui trentasettenne. Una scia di morte nella quale trova posto anche una vicenda piuttosto inquietante: il suicidio dell’Agente di Polizia Penitenziaria Fabrizia Gravinese, accusata di spaccio di sostanze stupefacenti, impiccatasi in cella nel maggio del 2008. A sconcertare, il fatto che la Gravinese sia stata tradotta nello stesso penitenziario presso il quale aveva lavorato fino al momento dell’arresto. Nel commentare la vicenda, l’Osappe ebbe a dichiarare che ”Normalmente gli addetti alle forze di polizia sono trasferiti in carceri militari proprio per evitare il contatto con la popolazione detenuta”.
Nella sezione femminile del carcere calabrese, come abbiamo potuto verificare, la cella teatro del suicidio è tutt’ora sotto sequestro. Una cella ubicata a pochi passi dalla cella numero 3, dove abbiamo incontrato una mamma che da cinque mesi vive la detenzione in compagnia del suo bambino. Il personale del carcere ci ha riferito che il piccolo, che ha due anni e mezzo, da quando è entrato in carcere ha subito un regresso linguistico.
Il bambino attende da mesi una visita pediatrica che non arriva e da agosto alcune vaccinazioni.
Istantanee, quelle che ricaviamo dalla visita a Castrovillari, che danno corpo a quella frase: “un consistente e allarmante nucleo di nuova shoah.”
La visita è quasi terminata quando chiediamo alla dottoressa Salerno e al direttore a scavalco notizie di un progetto, sulla carta rivoluzionario: vogliamo visitare il canile del carcere, destinato alla cosiddetta “pet terapy”. Del progetto, denominato Argo, si inizia a parlare nel 2007, per dare concreta applicazione ad uno studio condotto dal DAP che evidenziava l’utilità di iniziative volte ad affidare ai detenuti la cura degli amici a quattro zampe. Il progetto viene inaugurato nel novembre del 2009 e su strilli.it viene annunciato: “I detenuti si dedicheranno da oggi, nella stessa area penitenziaria, alla cura di alcuni cani randagi, appositamente sistemati in un canile, costruito dal Comune. L’iniziativa, denominata “Argo”, è stata, infatti, resa possibile da una sinergia tra Comune, Casa Circondariale ed Azienda Sanitaria, e presentata questa mattina, con l’inaugurazione del “canile”, in una conferenza stampa, nella sala convegni del penitenziario del capoluogo del Pollino”.
Fatto sta, che due anni dopo, il progetto Argo per ammissione della stessa direzione sembra essere miseramente fallito.
Arrivati davanti alle gabbie, dove sono malamente alloggiati una 15 di animaletti letteralmente disperati, e tra questi anche uno azzoppato, ci è sembrato di leggere nei loro occhi solo la disperazione di una vita in cella e senza speranza. Quasi una metafora delle nostre patrie galere.
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