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A partire da sabato 17 dicembre 2011, il MACA (Museo Arte Contemporanea Acri) presenta un’importante mostra dedicata a una delle esperienze più significative dell’arte italiana del secolo scorso: il Gruppo degli Otto.
In seguito alla spaccatura tra figurativi e astrattisti avvenuta nel 1950 all’interno del Fronte Nuovo delle Arti, due anni dopo, nel 1952, Afro Basaldella, Renato Birolli, Antonio Corpora, Mattia Moreni, Ennio Morlotti, Giuseppe Santomaso, Giulio Turcato ed Emilio Vedova, raccolti attorno al critico Lionello Venturi, costituirono il Gruppo degli Otto – una cerchia di artisti non figurativi che intese aprirsi alle ventate di innovazione estetica che giungevano dall’Europa e dagli Stati Uniti, per superare lo sterile scontro innescatosi tra i paladini rispettivamente di figurazione e astrazione.
« Essi non sono e non vogliono essere degli astrattisti – scrisse Venturi nel manifesto del movimento –; essi non sono e non vogliono essere dei realisti; si propongono di uscire da questa antinomia. […] Adoperano quel linguaggio pittorico che dipende dalla tradizione iniziatasi attorno al 1910 e comprendente l’esperienza dei cubisti, degli espressionisti e degli astrattisti […] Non sono astratti puritani, ma seguono i loro bisogni; l’astrazione non rifiuta il rapporto con la natura ».
A 60 anni dalla formazione del Gruppo degli Otto, il MACA, in collaborazione con De Arte progetti e servizi per l’arte, dedica un’ampia retrospettiva ai suoi protagonisti. Le oltre 30 opere di grande formato che la compongono – di cui alcune testimoniano della partecipazione del gruppo alla Biennale di Venezia del 1952 –, ne ripercorrono la vicenda intensa e ricca di importanti sperimentazioni, dal sorgere della stagione astrattista in Italia, di cui furono tra gli iniziatori, sino agli ultimi capolavori realizzati da questi otto grandi maestri.
Alle ispirazioni d’oltre confine, questi artisti aggiunsero una spiccata sensibilità e un attaccamento di stampo vitalistico al mondo concreto, traducendolo in opere tra loro eterogenee, ma comunque legate l’un l’altra dall’esigenza di trovare un punto d’equilibrio nella dicotomia tra astratto e concreto, tra la radicalità del gesto informale e la profondità della vita.
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