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Nella tasca porta sempre una fiche di 20.000 lire: tutto quello che gli rimase dopo aver giocato 40 milioni al casinò. «La vita non è solo quella che si è vissuta, ma anche quella che si sarebbe potuta vivere», lo ripete Mario Pugliese. Classe 1957, si è messo a nudo di fronte alla sua comunità.
Ha raccontato la sua storia, ‘una vita al limite’ la definisce: l’infanzia senza scarpe, la partenza per Milano, gli hotel (prigioni e stazioni), i giostrai, la malavita – o la «vita mala» – la droga. Passa da un anno all’altro.
«Sono stato ospite della mia vita», ribadisce. Arriva al secondo tempo: niente droga, impegno contro la violenza su donne e bambini, passione per l’ornitologia e premi nei relativi concorsi. Condivide il suo percorso nell’incontro organizzato dal Comitato civico “L’Arco”. Mette in guardia chi lo ascolta – soprattutto i giovani perché basta un attimo per perdersi – e propone di istituire uno sportello per minori e ragazze madri. Il racconto di una vita è stato introdotto da Franco Gigliotti e Michele Merante, membri del Comitato. Entrambi hanno sottolineato come Mario Pugliese ribadisca sempre che il suo non è un esempio da seguire. A inizio serata Faustina Macrì ha letto la lettera di una volontaria Caritas che ha operato nel carcere di Siano.
Mario Pugliese parte dell’infanzia. Nasce a Pentone. Dove gira sempre scalzo, anche in una discarica alla ricerca di un po’ di alluminio per racimolare qualche soldo. A quattordici anni lascia la scuola edile e parte per Milano. Da allora diventa un nessuno. «Pascolavo tra la stazione e la metropolitana, se rubavi un cartone ti accoltellavano – ricorda – giravano delinquenti, pedofili…dormire non si dormiva: avevo paura». «Ho sempre vissuto rubacchiando», aggiunge. Entra ed esce dal carcere minorile, molte volte si fa beccare di proposito: per avere un pasto caldo e un posto dove dormire.
Un gruppo di giostrai lo prende con sé. Sulle prime sembra il paese dei balocchi. Ma è un inferno. Mario vive da schiavo: recluso, manodopera a costo zero, pranzo fuori accanto al cane. Riesce a fuggire, scappa nei boschi. Per qualche tempo vive con gli zingari – «almeno venivo trattato da essere umano» commenta. Dopo la malavita o la «vita mala», come la chiama lui. L’incontro con la droga. «Ho cominciato con gli amici, con il solito ‘prova’ – racconta – ‘smetto quando voglio’…mi fa ridere questa frase». Mario entra in un giro di trafficanti: sarà arrestato, vivrà anche l’isolamento completo. Arriva pure a fare uso di eroina. «L’eroina ti annienta, l’eroina ti fa perdere il rispetto di te stesso – dice – non riesci a descrivere cosa provi, ecco perché è così difficile uscirne». Ma Mario ne esce. E non dalla porta dell’overdose o dell’aids. Ne esce pensando alle figlie, dopo tentativi e ricadute, «crampi come coliche renali» e anni in cui «il richiamo dell’eroina lo senti nella tua testa».
Oggi è ritornato nel suo paese, racconta la sua storia e forse si sorprende dell’ascolto e dell’affetto dei suoi concittadini.
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Tutto vero .